lunedì 28 giugno 2010


Numero cinque
La scuola al tempo di Gelmini. Cronache dalla bufera.

Gli avvenimenti si succedono. Tagli e conseguenze, polemiche e conflitti. Giunge nel corpo concreto della scuola e della sua vita, fuori dalla gigantesca iniziativa mediatica ed ideologica del Governo, il risultato di scelte molto gravi che, mentre stanno segnando nel profondo le possibilità di accesso ai saperi di intere generazioni, si contraddistinguono per una volontà semplificatoria ed autoritaria unità ad incapacità. Ciò che Davide Ferrari chiama qui "la clava del pressapoco".
La Rivista, nella sua opposizione, segue due strade.
In primo luogo inizia un percorso di proposta, si propone ai lettori come un Laboratorio di idee da destinare alla Scuola che verrà.
Il disegno è quello di un sistema di istruzione democratico, inclusivo e dall’elevata densità culturale. Vediamo allora RdS come una “rotonda” che vorremmo molto trafficata in/Entrata (per i contributi di studenti, insegnanti, genitori, enti locali, sindacati, università, volontariato e mondo del lavoro) e in/Uscita (per i contributi di politica scolastica e di innovazione curricolare del gruppo di direzione della Rivista).
A questo fine risponde l' Editoriale di Franco Frabboni, con il quale diamo voce a un primo Catalogo di idee - quattro “nodi” - che richiama l’attenzione sia sulla mission della Scuola nella società della globalizzazione (dei mercati e della cultura), sia sull’architettura istituzionale, culturale e didattica - che auspichiamo - del nostro sistema formativo. Gigliola Corduas interviene sulla Secondaria, dopo il dossier da noi pubblicato nel Numero quattro.
Un ampio intervento di Marilena Pillati si cimenta in un'analisi di quadro della situazione della scuola ed articola un'agenda di impegnate battaglie.
Contestualmente alla proposta seguiamo la protesta, la quotidiana e difficile battaglia per difendere la scuola. Fra le firme Sandra Soster e Giancarlo Sacchi.
Ne sono segno qui contributi ed approfondimenti ed anche lettere e prese di posizione. Dall'antifascismo al blocco giuridico delle circolar, dalle lotte contro i tagli al tema dell'integrazione. Cronache, appunto, reazioni da una scuola attaccata ed avvilita, non ancora arresa. Pubblichiamo poi due contributi specifici, il primo di Marco Girella sul giornalismo ed il secondo di Mattia Baglieri sull’Educazione permante. Nei blog tematici una interessante ">intervista a ricercatori precari di Emanuela De Luca e Bijoy M. Trentin , una nuova scheda di Loris Borghi per la sua "Scuola delle riviste", Giuliana Santarelli sulla "forza del leggere".


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L'EDITORIALE
di Franco Frabboni


I.
Primo nodo:
SOCIETA’ DELLA CONOSCENZA E SCUOLA
IL REPORT DELL’UNIONE EUROPEA.

- Il Ventunesimo secolo ha dato microfono e voce a una parola al maiuscolo: la Conoscenza. Questo lemma planetario ha ricevuto un fragoroso battesimo a Lisbona (Report, La società della conoscenza/2000) quando l’Unione europea l’ha consacrato a stella/cometa di una società tre volte post: post-industriale, post-ideologica, post-moderna. In altre parole. Nel cielo del terzo Millennio si possono leggere ben visibili queste parole: benvenuti in un Pianeta che potrà essere più giusto, più solidaristico, più alfabetizzato e più pacifico.
A patto che sappia investire, senza risparmio, su una Conoscenza alla portata di tutti, assimilabile in ogni Continente.
Secondo il Documento della capitale lusitana i motori di sviluppo del Pianeta non sono più l’Acciaio e il Petrolio (inidonei a ridurre l’enorme dislivello della qualità della vita nord/sud del Pianeta), ma la Conoscenza. Frontiera - questa - non solo di sviluppo, ma soprattutto di progresso dell’umanità: sia nell’emisfero boreale (i territori della ricchezza), sia nell’emisfero australe (i territori della povertà).
In particolare, i tamburi portoghesi auspicano una Scuola in grado di elevare la Conoscenza a conto-in-banca a disposizione dell’intera umanità, a irrinunciabile risorsa economica e sociale per l’intero Pianeta.
Come capitale economico, dal momento che l’affidabilità e la competitività del sistema produttivo di un Paese dipendono sempre di più dai suoi saperi diffusi, dalla sua acculturazione di massa.
Come capitale sociale, dal momento che la Conoscenza concorre alla costruzione di una Persona equipaggiata di valori/civili: la coscienza democratica, la cittadinanza attiva, la coesione sociale. Questi, appaiono fondamentali per costruire un mondo solidale, giusto, pacificato.
Questo, il grido d’allarme del Report lusitano. La tenuta di un sistema democratico, la qualità della vita e dei valori di una comunità nazionale, la capacità competitiva di un Paese quanto a sistema economico dipendono - anche - dall’investimento e dallo stock di Conoscenza di cui dispone il proprio capitale umano: il singolo/cittadino. Di qui l’importanza strategica che questa assume nella stagione di debutto del Terzo millennio.
Se il Pianeta-terra non investirà urgentemente in Conoscenza, rinunciando al sogno di una nuova/umanità, rischierà di allargare la forbice tra Pianeta colto e Pianeta incolto, tra inclusi ed esclusi, tra giovani e vecchi, tra maschi e femmine.

LA CENTRALITA’ DELLA SCUOLA.

Di qui il rincorrersi nel vecchio Continente della parola d’ordine Scommessa/Scuola. Con il conseguente sorgere - dal 2000 - di “cantieri” intitolati all’innovazione organizzativa e all’ammodernamento curricolare dei singoli sistemi scolastici: sulla base di disegni istituzionali che, pur nella loro “diversità”, stanno dando una risposta comunitaria congiunta - assente l’Italia, per colpa di una Destra al governo disattenta all’Europa! - alle domande pressanti del mondo del lavoro (la tesi: la Formazione è un’ineludibile “risorsa” economica e sociale) e dal mondo dell’educazione (la tesi: la Formazione è un’ineludibile “risorsa” culturale e umana).
A partire da questa duplice tesi, l’Unione europea assegna alla Scuola di domani il compito di raffreddare le preoccupanti cifre di “illitteratismo” che stanno erodendo il capitale/culturale degli studenti dopo un lustro dall’uscita della Secondaria: siamo alla dispersione intellettuale generata da un insegnamento verbalistico e nozionistico. L’apprendimento conseguentemente va in tilt, provocando una sorta di “sordità” cognitiva nei confronti delle forme superiori della conoscenza. Come dire, il capitale/cognitivo resta largamente riproduttivo (alimentato da dispositivi mnemonici, automatici, ripetitivi della mente) e non matura quanto a produttività e a creatività (alimentato da dispositivi euristici della mente: di analisi, di sintesi, di intuizione e di invenzione).
Questa, la raccomandazione del vecchio Continente in materia di istruzione scolastica: i ventisette Paesi dell’Unione devono sollecitamente predisporre una Carta europea della Scuola - redatta insieme dalle maggioranze di Governo e dalle opposizioni, con l’impegno di renderla duratura nel tempo - circoscritta alle due finalità formative oggi improcrastinabili: il diritto all’istruzione e alla cultura. In altre parole. Gli schieramenti politici del vecchia Europa sono invitati a tenere in vita un limbo di finalità formative comuni - metapolitiche: inamovibili da qualsiasi maggioranza parlamentare - poste al di sopra delle nuvole, al riparo dalle instabilità legislative. Siamo al cospetto di una Zona-franca europea quale frontiera universale dell’educazione. Il suo nome? La Formazione di un Persona dall’etica solidaristica (socialmente non/competitiva) e dal pensiero plurale (intellettualmente non/conformista).

L’ANOMALIA ITALIA.

L’eccezione e l’anomalia abitano purtroppo nel nostro Paese che sembra sordo al richiamo di far parte della Zona-franca europea. Infatti da due lustri la nostra Destra al governo costringe la Scuola a remare in direzione opposta. La sua visione aziendalistica, la sua opzione per un’istruzione meritocratica e competitiva (selettiva e conflittuale), la sua simpatia per il “fai-da-te” lungo i comparti scolastici ci collocano non solo contromano, ma soprattutto fuori dalla storia. Tanto che l’Unione europea sta mettendo il nostro sistema di istruzione in castigo, dietro-la-lavagna. Il tappo è saltato a causa dell’impietoso uso della mannaia sul corpo della Scuola italiana: sull’organico dei docenti, sulle sedi scolastiche, sul monte/orario, sui servizi bus/mensa e sulle apparecchiature didattiche. Una barbara sottrazione di risorse alla Scuola - mentre i Paesi continentali investono! - che sta producendo crescenti cifre di dispersione materiale nel Bel Paese.


II.
Secondo nodo:
QUALE IDEA DI SCUOLA?
UN DUPLICE INTERROGATIVO.

Domanda. Se il fronte/progressista fosse a breve chiamato a governare il futuro del Paese a quale idea-di-Scuola darebbe le ali per librarsi nel cielo costellato di Persone capaci di pensare con la propria testa e sognare con il proprio cuore?
Questo scenario fa scattare un duplice interrogativo e l’esigenza di una scelta sollecita tra due alternative.
Scelta numero/1. La discriminatoria (democraticamente parlando) e medievale (culturalmente parlando) Controriforma/Gelmini va subito gettata nel “cestino” dei rifiuti per l’urgente necessità di accendere i semafori verdi ad un organico iter/legislativo chiamato a costruire un duraturo ridisegno del nostro sistema di istruzione.
Scelta numero/2. E’opportuno inizialmente optare per una raffica di tessere/legislative da condividere - una dopo l’altra - con il mondo della Scuola (sette milioni di studenti che, sommati alle loro famiglie e alle istituzioni sociali impegnate sui problemi dell’istruzione, rasentano la metà della popolazione del nostro Paese) al fine di varare con “gradualità” un organico e definitivo mosaico in grado di respingere l’eventuale ultimo assalto (antieuropeo, antidemocratico, antipedagogico) della Controriforma del governo di Destra.

APRIRE IL DIBATTITO.

La risposta al duplice interrogativo può essere data soltanto aprendo nelle nostre contrade un ampio dibattito. Raccogliendo su un Progetto alternativo di Scuola le tante “voci” delle periferie scolastiche, istituzionali, sindacali e associazionistiche. E delle cittadinanze locali.
Un Replay, per rinforzare il concetto. Ci sembra di potere argomentare come sia necessario aprire - già nell’attuale stagione di egemonia monocratica della Destra - un largo dibattito all’interno del mondo progressista sulla direzione di marcia da prendere al cospetto delle due/corsie che si avranno di fronte dopo il cambio della guardia al Governo.
Prima corsia. - La sua freccia segnaletica informa che questa strada porta all’abrogazione - senza se e senza ma - della Controriforma/Gelmini.
Su questa opzione, batte forte il nostro cuore. Senza dubbio la passione politica ci chiede una sua sollecita eutanasia. Impossibile tenere in vita artificiale - con la cannella dell’ossigeno - una Controriforma mille miglia lontana dagli orizzonti culturali, sociali, educativi del fronte progressista. Quali, gli sguardi controriformistici da spegnere?
(a) Si è detto. Lo sguardo/culturale della Controriforma è antieuropeo. E’ miope e indifferente alle raccomandazioni comunitarie (Lisbona/2000) sull’avvento di una Società della conoscenza che chiede alle nazioni del vecchio Continente innovazioni scolastiche dalle robuste ali/culturali per volare verso un domani dove l’alfabetizzazione e la formazione siano a disposizione di tutte le popolazioni del Pianeta: ricche e povere.
La Controriforma/Gelmini non dispone di ali. La sua è una politica scolastica lillipuziana, in ostaggio ad una visione “paesana” dell’istruzione che si alimenta di cibi culturali seminati nel proprio condominio, nell’orto di casa. I Decreti/legge del Ministro hanno poco a che fare con un’idea organica di Riforma. Popolano una “riformicchia” dal volto leghista. Il cui primo segno identitario è la rinuncia agli odierni Saperi complessi della cultura e della scienza, preferendo giocare le proprie normative ministeriali sulla roulette sia delle conoscenze fuori/mercato (i piccoli mondi antichi e del tempo che fu), sia delle conoscenze/utili in quanto “merce” di immediato consumo. E poco importa se moriranno all’alba del giorno dopo.
(b) Lo sguardo/sociale della Controriforma è antidemocratico. Non garantisce a tutti il diritto allo studio perché discrimina precocemente la propria utenza. Come? Riducendo l’obbligo scolastico, creando due canali di formazione secondaria (per i figli di famiglie indigenti e per i figli di famiglie benestanti), attivando dispositivi di separazione tra gli allievi di buono o di cattivo rendimento negli studi (classi a livello), abbandonando l’etica dell’inclusione e dell’integrazione (per i disabili e per chi proviene da altre etnie), dando via libera al fai-da-te delle famiglie.
(c) Lo sguardo/educativo della Controriforma è antipedagogico. Mortifica le potenzialità cognitive e relazionali dell’allievo-Persona. Tanto da costringerlo su un ring dove l’arbitro premia sia la bassa/cucina nozionistica che omologa al pensiero unico (mentre punisce le idee/plurali: aperte alla molteplicità dei linguaggi, delle culture e delle fedi), sia i disvalori dell’individualismo e della competitività (mentre punisce i valori della cooperazione e della solidarietà).
Seconda corsia. - La sua freccia segnaletica informa che questa strada è copiosamente asfaltata di decreti legislativi. Su questa opzione, il nostro punto-di-vista è pieno di se e di ma. Certo, la nostra razionalità politica suggerisce di tenere conto di una molteplicità di variabili che - se ben pilotate - possono evitare le pericolose controffensive di una Destra all’opposizione. Siamo alla scelta di una politica realistica, del mattone-su-mattone. Con la finalità di costruire gradualmente una Scuola dalle solide fondamenta e sul cui tetto sventoli una bandiera contrappuntata di valori progressisti: europei, democratici e pedagogici.


III.
Terzo nodo:
LA DESTRA NON AMA LA SCUOLA.

Da quanto sostenuto nel precedente capitolo, ci sembra di potere affermare che nel nostro Paese il mondo progressista (l’Opposizione: il Centro-sinistra) e il mondo conservatore (il Governo: la Destra) difficilmente potranno incontrarsi e darsi la mano. E sedersi a un tavolo comune per co-costruire un sistema di istruzione nazionale capace di reggere le odierne epocali “sfide” sociali e culturali.
Perché questa profezia pessimista? La risposta sta nel fatto che i due schieramenti politici impugnano il testimone di due/idee di Scuola che mai potranno fare staffetta, perché occupano opposte corsie di corsa. Sono piste interpretative e progettuali a centottanta gradi tra loro: sulle finalità formative, sul ruolo sociale e sulla spessore culturale da assegnare alla Scuola in questa società del cambiamento.
Nell’anno di debutto del terzo Millennio, l’Unione Europea ha redatto uno storico Manifesto/Scuola (Lisbona/2000: La società della conoscenza) raccomandando ai Paesi del vecchio Continente di porre sull’altare l’istruzione pubblica perché sempre/più Capitale e Risorsa per l’umanità: “motore” di sviluppo economico (per dare competitività ai sistemi produttivi), di progresso sociale (per alimentare cittadinanza e democrazia) e di traguardi valoriali (per formare una Persona nel segno della cooperazione, della solidarietà, della pacifica convivenza).
Fuori dal coro europeo - dal timbro esplicitamente progressista - si è seduta in un canto la Destra italiana paladina di una società tutta/Mercato. Parliamo del suo neoliberismo in economia - selvaggio e aggressivo, incolto e individualistico: dall’occhio di Polifemo arroccato a difesa dell’altare del “profitto” - che sta irrompendo nella Scuola italiana con lo specchietto delle allodole in mano per risvegliare sue malsopite pulsioni discriminatorie e classiste.
Questa, la sua antipedagogia miope e senza futuro. Va cambiato il Dna del nostro sistema di istruzione - pubblico e democratico - per tramutarlo in una sorta di vestale del Mercato e del Mediatico.
(a) Da una parte, le giovani generazioni vanno socializzate in una aula/classe molto prossima alle dinamiche relazionali che si producono in una Scuola/azienda: competitive e antagonistiche.
(b) Dall’altra parte, le giovani generazioni vanno alfabetizzate secondo gli algoritmi cognitivi imposti dai massmedia e dai personalmedia. Questi, non cucinano saperi plurali e critici, ma instradano le conoscenze su binari cognitivi sequenziali e ripetitivi: che non permettono al discente errori, libere interpretazioni, elaborazioni personali. È un’istruzione/nana, coniata in pillole avvolte in una risibile inconfutabilità. Di qui lo stampo di allievi pappagalli, anonimi e conformisti. Con gli occhi chiusi per sempre sui perché, sui dubbi, sui dissensi, nonché sugli incanti, sui sogni e sulle utopie.
A partire da questi proclami antieuropei e antipedagogici, la Controriforma della Gelmini pone nel mirino un bersaglio/grosso da colpire e dissanguare: la Scuola pubblica. Eversiva, secondo la Destra, perché ha per finalità il diritto-di-tutti-all’istruzione e la formazione di giovani dal pensiero-plurale (laico, antidogmatico, critico). Una Scuola pubblica da gambizzare con alcune feroci randellate: meno risorse, meno insegnanti, meno tempo scuola, meno studenti. Il tutto con l’obiettivo di trasferire una parte cospicua della sua utenza verso i paradisi della Scuola-privata-a-pagamento.
Scattiamo alcuni flash per dare volto alla duplice/mission del sistema scolastico auspicato in sede continentale - l’anima democratica e l’anima formativa - che sul ring del nostro Paese assume oggi l’immagine di altrettanti match, di un doppio durissimo corpo-a-corpo.


1. Primo match: la mission democratica.

Siamo sul ring dove incrociano i guantoni i Progressisti e il Conservatori in un match tra chi porta la maglietta della Scuola pubblica e chi porta la maglietta della Scuola privata.

1.1. I PROGRESSISTI
Sono gli alfieri di una Scuola pubblica comprensiva anche della Scuola paritaria che opta per un sistema nazionale “integrato”. Difendono con i denti la sua anima democratica chiedendo con forza allo Stato di assicurare le risorse necessarie per il diritto di tutti all’entrata e all’uscita da uno dei rami del sistema formativo. Nel nome europeo di non-uno-di-meno, lo Stato ha il dovere di lanciare il proprio guanto di sfida ai protettori di una Scuola classista, selettiva e antidemocratica.
La scelta dei Progressisti è dunque per una Scuola cattedrale di inclusione e di integrazione sociale: priva di ticket di ingresso (perché gratuita) e di tagliole selettive (di discriminazione sociale).
Una Scuola democratica quale agenzia educativa che assicura all’intera sua utenza l’accesso alla cultura (dando-di-più-a-chi-ha-di-meno) abbattendo le persistenti sacche di marginalizzazione e di esclusione - dell’infanzia come dell’adolescenza - presenti tuttora nel nostro Paese.
Sì pertanto alla maglietta della Scuola ascensore/sociale: purché porti scritto che per la salita lungo i suoi quattro piani - Scuola primaria, Scuola media, biennio e triennio della Secondaria - occorre disporre di un unico pulsante di uscita: l’ultimo, l’Attico.


1.2. I CONSERVATORI
Sono gli alfieri della Scuola privata. In groppa a questa linea antidemocratica, con quali armi improprie vanno all’assalto della Scuola pubblica? (a) Con il progressivo smantellamento del diritto-di-tutti- all’istruzione; (b) con l’ideologia discriminatoria del fai-da-te nella scelta di percorsi formativi: derubati dai vincoli dell’obbligatorietà (liberalizzata dagli anticipi della scuola primaria, dall’opzione precoce tra canali professionali e liceali e dal self-service nella scelta delle materie scolastiche); (c) con la sua aziendalizzazione: cosparsa di cifre meritocratiche, di saperi esogeni e riproduttivi (servono per il lavoro, e basta!); (d) con la sua vocazione omologante e autoritaria: la divisa/grembiule, il voto in cifre e il cinque in condotta, la gerarchizzazione dei docenti tra l’insegnante prevalente e quello ausiliario.
Riassumiamo la desolante doppia antipedagogia dipinta dalla Destra al Governo.
La Scuola pubblica (comprensiva della cattolica/paritaria) va rivolta ai ceti sociali meno abbienti, ai disabili e ai figli degli immigrati.
La Scuola privata-a-pagamento (laica e di mercato) va rivolta con costi abbordabili ai ceti medi e con costi più elevati ai ceti alti.
Una scenario istituzionale diroccato, dunque. Frutto di una politica scolastica classista: protesa a dividere, a separare e ad escludere le nuove generazioni in rapporto al loro status economico e sociale.
Anche la Destra porta la maglietta con l’immagine dell’ascensore/sociale. Attenzione, però. La salita lungo i quattro piani della Scuola impone l’obbligo di disporre di altrettanti pulsanti d’uscita. Gli esodi sono tutti programmati: l’ultimo - l’Attico - è riservato (siamo al revival della profezia althusseriana) alla quota di allievi destinati a diventare classe dirigente e padroni del vapore del Paese.

2. Secondo match: la mission formativa.

Siamo sul ring dove incrociano i guantoni i Progressisti e il Conservatori in un match tra chi porta la maglietta delle teste-ben-fatte e del cuore-solidale e chi porta la maglietta delle teste-piene e del cuore-inaridito.

2.1. I PROGRESSISTI
Sono gli alfieri di una bandiera/colorata che espone un duplice volto pedagogico: la Testa-ben-fatta (il pensiero/plurale, che forma la “mente”) e la Cooperazione (il cuore/solidale, che costruisce i “valori”).
Duplice, conseguentemente, è il dovere dello Stato quanto a mission formativa.
(a) Da una parte, ha il compito di elevare la Conoscenza a risorsa economica-sociale-culturale.
Secondo i Progressisti, l’istruzione prende l’immagine di un potente motore per la Scuola di massa. Sono consapevoli che la sua dissipazione relegherebbe il nostro Paese nei play-out delle classifiche continentali. Dunque, compito della Scuola nel mondo della Conoscenza è la formazione del pensiero aperto al confronto delle idee, alla confutazione e al dissenso. Una Scuola che stimola il “dubbio” più che catramare le menti degli allievi di dogmi e di certezze. Pertanto, la conoscenza prende l’immagine di una potente vettura chiamata a condurre la Persona fuori dalla deriva - esistenzialmente devastante - della massificazione collettiva.
La Scuola pubblica è la sola agenzia educativa a difesa della molteplicità delle culture: quindi, della pluralità dei punti di vista antropologici, etnici e religiosi.
(b) Dall’altra parte, lo Stato ha il compito di dare mare al veliero/Scuola sulla rotta formativa della Cooperazione. È una striscia d’acqua che alimenta il dialogo, l’amicizia, la solidarietà: dando senso e significato allo stare insieme per conoscersi e per imparare. Su questa imbarcazione, gli scolari non hanno più nulla di Tolemaico (non sono più polli di ingrassamento mediatico) ma hanno tutto di Copernicano: la libertà della ragione e l’azzardo della fantasia.
Secondo i Progressisti, la scuola del cuore (dei “valori”) è chiamata a investire tutte le proprie fiches sulla roulette di una Persona non-duplicabile, non-manipolabile, non-utile. Siamo alla Scuola della convivialità che genera dialogo, ascolto, impegno, responsabilità.
I climi scolastici soleggiati di Cooperazione riscaldano le aule dove non si lottizzano gli allievi in gruppi chiusi e autocentranti, ma dove si promuove piuttosto la loro aggregazione negli spazi delle classi e dei laboratori nonché negli ambienti formativi più vasti e complessi presenti nella città e nell’ambiente naturale.


2.2. I CONSERVATORI
Sono gli alfieri di una bandiera/nera che espone un duplice volto antipedagogico: una testa piena (il pensiero/unico, che bela gli spot del Mediatico) e un’ideologia competitiva (meritocratica, che fa il verso al Mercato). Come dire. Si aprono le finestre della classe a un gelido vento cosparso di dinamiche antagonistiche e conflittuali. Nonché ad una ideologia aziendalistico/autoritaria costellata di aggressività e di violenza, sempre più prossima al bullismo e all’asocialità giovanile.
Mettiamo alla moviola - in gigantografia e al rallentatore - il doppio teschio stampato sulla bandiera/nera dei Conservatori.
(a) Da una parte, campeggia una Conoscenza che funge da apripista per una testa piena di pasticche cognitive.
Secondo i Conservatori, l’istruzione ha il compito di abilitare le giovani generazioni al pensiero/unico, per il quale è sufficiente una raffica sapientemente erogata di spot cognitivi per asfaltare la mente delle giovani generazioni.
La microconoscenza - se ossessivamente replicata - si converte in verità/rivelata, in sapere enciclopedico e automatico: duraturo nella mente di una umanità-manichino. Siamo all’istruzione formattata in guisa di cachet sia assiomatici (che non permettono al discente nessun dubbio, nessuna libera interpretazione, nessuna confutabilità), sia ripetitivi (grottescamente misurati tramite quiz: in quanto saperi mnemonici e sprintati).
(b) Dall’altra parte, campeggia una Comunità scolastica intrisa di competitività e di conflittualità. Sullo sfondo, la Scuola/azienda cara alla politiche scolastiche neoliberiste e meritocratiche.
L’ascensore sociale targato/Destra è infestato da un gas chimico (mortale per la Scuola) di nome Competitività. Questa, alimenta surrettiziamente un’atmosfera di forte intossicazione collettiva tanto da provocare effetti disastrosi nella vulnerabile cittadella del sistema scolastico. Il basso profilo di un’istruzione da olimpiadi della memoria (funzionale alla diffusione di saperi nozionistici e pappagalleschi) sta sfigurando la vita di classe in un corpo-a-corpo nel quale gli allievi si fronteggiano, senza esclusione di colpi, per prevalere sui compagni/avversari.
Dunque, un bilancio culturale profondo/rosso. Proprio perché il Ministro Gelmini sta impugnando due missili letali per la Scuola.
Il primo missile - il Nozionismo al potere - mira a distruggere la qualità dell’istruzione. Niente trasversalità delle conoscenze, niente laboratori, niente ricerca, niente creatività: niente pensiero plurale.
Il secondo missile - la Competitività in classe - lascia al suo passaggio una lunga scia nera dove si può leggere - a lettere cubitali - la parola Esclusione. È la carta d’identità della scuola di Destra: senza ossigeno pedagogico, avvolta in un clima irrespirabile, chimicamente prodotto con dosi di aggressività e di colpi proibiti pur di abbattere, nel profitto, il proprio compagno di banco. Non più amico, ma nemico lungo le strade che portano al traguardo di una alfabetizzazione e di una socializzazione compiute.


IV.
Quarto nodo:
LA SCUOLA DELLE RIFORME

Nelle pagine precedenti abbiamo auspicato che possa riprendere il mare il Veliero/scuola lungo le rotte che lo porteranno all’isola intitolata alla scuola delle Riforme. Per potere navigare in bonaccia lungo gli oceani del terzo Millennio, l’imbarcazione targata/Riforme - anche per rendere trasparenti e plausibili le necessarie negoziazioni tra maggioranza e opposizione - dovrebbe alzare al cielo le sue vele gonfie di vento al fine di assicurare una rotta sicura alla duplice mission del diritto allo studio e della qualità dell’istruzione.
Se le vele prenderanno vento, le politiche scolastiche potranno dare vita a un grappolo di innovazioni formative ineludibili per riportare il nostro sistema di istruzione nei play-off (nelle posizioni di testa) delle classifiche europee.
Questi, i provvedimenti legislativi che gradiremmo in pole position. Sono Riforme chiamate a ristrutturare l’edificio a-quattro-piani della Scuola di casa nostra sia nei suoi assetti istituzionali, sia nella sua qualità curricolare.

1. Asilo nido e scuola dell’infanzia.

1.1. UNA LEGGE ZERO-SEI. - A tempi brevi, vanno destinate risorse cospicue per la creazione di migliaia di Asili-nido (a partire dal nostro mezzogiorno) che dovranno fungere da “apripista” a quel 20% di posto-bimbo che l’Unione europea ha posto a traguardo nel 2010 per tutti i Paesi comunitari.
Inoltre, questa Legge dovrà generalizzare la Scuola dell’infanzia (soltanto il 65% dei bambini tre-sei fruisce di un servizio degno di chiamarsi Scuola), mettendo nel contempo in soffitta la duplice ipotesi istituzionale sia di dare ospitalità nel suo triennio a Sezioni/primavera (i tre-enni tolti dal Nido e accasati nella Scuola dell’infanzia), sia di attribuire la facoltà ai genitori di iscrivere i propri figli sei mesi prima alla Scuola primaria.

1.2. L’ANTICIPO DELL’OBBLIGO.

Il nostro auspicio è che si dia finalmente le gambe all’anticipo dell’obbligo nell’ultimo anno della Scuola dell’infanzia (quinto anno dei bambini). La ricerca psicopedagogica documenta come l’eccezionale fertilità dell’intelligenza nella seconda infanzia accredita la teoria dell’apprendimento precoce. L’infanzia tre-sei oggi gode di una maturità anticipata, frutto anche di una crescita bio/fisiologica più rapida. L’obbligo ai cinque anni, nel tirare in basso il lenzuolo della Scuola, avrebbe anche il pregio di porre il suo punto-stop al diciottesimo anno degli allievi: allineando il nostro Paese ai sistemi scolastici più avanzati del vecchio Continente.

2. Scuola primaria
2.1. LA SCUOLA DI BASE. - La Scuola dell’infanzia, la Scuola primaria e la Scuola secondaria di primo grado vanno ridisegnate nel segno della continuità tra i loro gradi formativi. Il che significa assicurare un rigoroso profilo curricolare insieme a una loro disseminazione nella nostra Penisola: al sud come al nord.
2.2. IL TEMPO SCUOLA. - Va formalizzato nel Paese un monte-orario nel segno del tempo/lungo (versione più elastica del tempo pieno, in quanto aperto all’integrazione con le offerte formative del territorio): il solo in grado di rispondere ai crescenti problemi della “dispersione” di cui soffrono gli allievi che accumulano debiti cognitivi (disabili, altre etnie).
Il nostro auspicio è che si accenda finalmente il semaforo verde a questo modello pedagogico-didattico che mira esplicitamente alla scolarizzazione di massa e al diritto di tutti all’entrata e all’uscita (ovviamente, non anzitempo) dai percorsi di istruzione di formazione alla cittadinanza di cui è titolare la Scuola. Nel contempo, il tempo/lungo è il nemico numero 1 di una Scuola primaria dal mediocre profilo cognitivo, protesa a rifornire gli allievi di saperi mnemonici (che muoiono all’alba del giorno dopo) e inattuali (che alludono a un mondo che fu). Come dire. Il tempo/lungo getta dalla finestra le conoscenze nozionistiche e pappagallesche, valutabili soltanto in una Scuola primaria tutta-quiz.


3. Scuola secondaria di primo grado
3.1. LA CAPITALE DELL’ ORIENTAMENTO. - Oltre a completare la padronanza degli statuti disciplinari (da iniziare nel primo comparto dell’obbligo), alla Scuola media spetta il compito di utilizzare strategie didattiche “individualizzate” in grado di rispettare gli stili cognitivi degli allievi nonché i loro dispositivi simbolici e di comprensione logico/formale. Il tutto allo scopo di diventare la capitale dell’Orientamento. Il primo grado della Secondaria potrà perseguire questo obiettivo, da sempre fallito dal nostro sistema di istruzione, se saprà fruire dell’elevazione dell’obbligo scolastico al sedicesimo anno. Così da liberarsi della responsabilità della canalizzazione precoce degli alunni nei percorsi di studio della Secondaria di secondo grado.

3.2. MERITA NUOVI CURRICOLI.

La Scuola media chiede che siano messi al rogo i suoi Programmi di istruzione. Il loro mediocre profilo cognitivo non permette al discente nessun dubbio, nessuna libera interpretazione, nessun consumo critico. Come i surgelati alimentari, sono conoscenze impacchettate: soltanto da riscaldare e da dare in pasto alla mensa dell’istruzione scolastica. E’ una pseudocultura esogena, di immediato uso sociale, preferibilmente in pillole, sottoforma di pasticche cognitive avvolte in una caricaturale inconfutabilità.


4. Scuola secondaria di secondo grado
4.1. IL BIENNIO UNITARIO. - La Scuola secondaria di secondo grado ha fatto debuttare - dal 2007 - l’atteso biennio/unitario deputato all’Orientamento: alla scelta di uno dei rami del Triennio conclusivo dei percorsi curricolari di apprendimento e di formazione (il ramo liceale, il ramo tecnico e il ramo professionale). Il tutto allo scopo di facilitare la frequenza e il successo in uno dei citati percorsi di espletamento dell’obbligo/formativo: da assolvere sia nel sistema dell’istruzione, sia nella formazione professionale e nell’apprendistato (con forme di alternanza scuola-lavoro). La formazione professionale è un sistema distinto da quello dell’istruzione pur attivando, con questa, molteplici relazioni curricolari e progetti formativi integrati. L’articolazione dei Licei osserva un modello unitario e una chiara distinzione tra licei/generalisti e licei/tecnici (questi ultimi in modelli Campus con la Formazione professionale).
In questi nuovi paesaggi della Scuola secondaria dovranno essere prese misure straordinarie per ridurre significativamente la dispersione scolastica, anche perché è necessario uscire al più presto delle posizioni di coda in Europa in cui siamo relegati. Basti pensare alla nostra cifra patologica di dispersione del 35% contro il fisiologico 10% dell’Inghilterra, Germania, Francia, Spagna e Paesi scandinavi.

4.2. LA SECONDARIA CHIEDE DUE FALO’.

(a) Il primo/rogo va acceso per bruciare al più presto i curricoli (gli assi culturali) dei Licei usciti dalle scadenti penne delle Commissioni ministeriali: le conoscenze che impongono agli studenti sono veri e propri Ogm - Organismi (cognitivi) geneticamente modificati - dove i saperi canonici vengono sfigurati da squallidi tagli/diacronici. Sono soppressi interi periodi storici, straordinarie scoperte scientifiche, figure di filosofi-artisti-scienziati titolari di grandi rivoluzioni culturali: come dire, sono state poste in cassa-integrazione le forme superiori della conoscenza. (b) Il secondo/rogo va acceso per incenerire per sempre le prove di accertamento delle competenze degli allievi fabbricate dall’Istituto nazionale della valutazione. Sono dispositivi di misurazione “ignoranti”: lontani anni luce dalle procedure più avanzate confezionate dalla Docimologia (la scienza della valutazione).

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Gli scarsi meriti della riforma.
Di Gigliola Corduas


Cosa aggiungere all’analisi dettagliata dei diversi aspetti della riforma della scuola secondaria che “Riforma della Scuola” sta realizzando con apporti altamente qualificati? E’ già stato detto che questa non è una riforma –tanto meno “epocale”- ma solo un riordino nella confusione creata dagli interventi parziali e non coordinati che,in decenni di indecisione politica, non hanno saputo conservare, né tantomeno rafforzare, un assetto di sistema.
E’ stato anche sottolineato come la ratio degli interventi sia tutta di tipo economico: risparmi, tagli, razionalizzazione delle spese, riduzione del personale, rinvio di tutto ciò che comporta nuovi investimenti e ne è una conferma anche l’ultimo dirottamento sul “ripianamento dei debiti delle istituzioni scolastiche” di quel 30% dei risparmi che, secondo quanto promesso due anni fa, doveva essere destinato agli insegnanti con incentivi relativi al merito. Poteva essere una scommessa cominciare a ragionare di merito e individuare ciò che caratterizza un insegnante “bravo”, certamente sarebbe stato un segnale positivo. Invece, anche in questo caso, ci si è limitati alle parole d’ordine che, n numerose, hanno accompagnato tutto il percorso normativo: da merito a serietà, rigore, severità.
Personalmente, più che delusione, posso esprimere lo sconcerto per una “riformicchia” che cavalca un diffuso bisogno di sicurezze tenendo lo sguardo rivolto al passato assai più che al futuro. Non si riesce a immaginare come gli interventi proposti potranno rafforzare le possibilità d’azione della scuola che ha istituzionalmente il compito non solo di trasmettere il patrimonio culturale di una società e di formare alle nuove “competenze” (intese nell’accezione europea che le descrive in termini di responsabilità e autonomia oltre che di integrazione di conoscenze, abilità e capacità) ma anche di dare risposte significative, dotate di senso, alle domande nuove, urgenti che ci vengono da una società che è ormai interdipendente a livello europeo e internazionale, accomunata da un destino ecologico a livello mondiale, attraversata da inquietudini profonde.
Come potrà questa scuola mantenere un dialogo significativo con giovani raggiunti da innumerevoli fonti informative ma privi di qualsiasi aiuto sul piano della formazione della loro identità personale, lasciata in balìa dell’influenza di una comunicazione mediatica a vocazione commerciale, che fa leva sulla prevedibilità dei consumi e dunque sul conformismo, sull’appannamento dello spirito critico, sull’attivazione di nuove dipendenze?
E’ illusorio pensare che i problemi della scuola consistano nell’ampliare il numero dei licei, ridurre gli indirizzi dell’istruzione tecnica e professionale, decimare le risorse, il personale e gli orari e persino le materie d’insegnamento. Questo è solo un tassello, piccolissimo in termini di senso, di un problema generale che non si vuole affrontare e che richiede progettualità, una visione di futuro e la volontà di affrontare i problemi della scuola con una visione di ampio respiro, rimanendo nell’ambito della scuola e non subordinandola a logiche che le sono estranee, comprese quelle dell’economia che da sempre la considera un settore di sprechi e non di investimenti. Bisogna decidere se si punta a una scuola funzionale a un assetto sociale aperto e inclusivo o al contrario selettivo, in cui sono le famiglie a scegliere se investire in una scuola privata costosa e di qualità o in una pubblica residuale e impoverita. Ne è conferma il mancato confronto sul valore e sul significato del prolungamento dell’obbligo scolastico: ci si è limitati alla pura dimensione formale, che consiste nel tenere i giovani, per legge, altri due anni a scuola oppure nell’istruzione/formazione professionale o anche nei percorsi di apprendistato, destinati a coloro che a lavorare andrebbero comunque e non per libera scelta, ma perché sono già stati abbandonati dal sistema dell’istruzione. Una soluzione gattopardesca che non entra minimamente nel valore di un prolungamento della scolarità collegato all’innalzamento dei livelli culturali di base, al possesso dei nuovi alfabeti della comunicazione sociale, alla complessità della partecipazione attiva alla vita democratica, all’inserimento di giovani extracomunitari nei canali della formazione alla cittadinanza e non li lascia nel canale residuale dell’istruzione professionale.
Si fa un remake della vecchia impostazione gentiliana. Non si investe negli insegnanti e si confermano tutti i difetti dei vecchi percorsi della formazione iniziale, come è confermato dall’Atto del Governo n. 205 attualmente in discussione alle Commissioni di Camera e Senato, con tutti i vizi d’impostazione del precedente sistema.
Quanto all’autonomia scolastica, che resta il passaggio più rilevante e significativo dell’ultimo decennio, si ricorre a qualche citazione quando si prospettano problemi che non si intendono affrontare, mentre i passaggi di competenze alle regioni rischiano di andare oltre i confini della costituzione e del nuovo Titolo V, come sta già avvenendo in alcune regioni.
In definitiva, si abbandona alla deriva la scuola pubblica che pure ha rappresentato una scelta condivisa, basilare nel profilo di Repubblica su cui i costituenti avevano trovato un accordo. Ma sembra riduttivo e passatista richiamarsi alla Costituzione, ridotta a un retaggio fastidioso del passato quando non un “inferno”. Peccato che non riusciamo a capire quali sono gli orizzonti verso cui ci stiamo spingendo, che possono essere ancora più pericolosi e inquietanti.


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Una proposta dall’Emilia
Di Marilena Pillati


L’Emilia-Romagna è ai primi posti in Europa per qualità dello sviluppo. Ha da sempre
investito nel capitale umano e nel capitale sociale, cioè nelle persone e nelle comunità.
In questa regione è forte la consapevolezza che la scuola è la porta d’accesso ai diritti di cittadinanza e al tempo stesso è la premessa per costruire lo sviluppo economico e democratico di una comunità.
Si è fortemente investito sulla ricerca pedagogica, sulla formazione degli operatori,
sulla collaborazione tra istituzioni e ciò ha permesso di sviluppare modelli educativi e formativi per noi ancora di riferimento per perseguire l’obiettivo di superare le diseguaglianze sociali di partenza e per assicurare ad ognuno, nessuno escluso, le opportunità formative indispensabili per esercitare una cittadinanza attiva.
Ed è grazie all’impegno della Regione e del sistema delle autonomie locali, che nella
scuola hanno investito risorse e intelligenze, che si è realizzato nel tempo un sistema scolastico caratterizzato da una diffusa rete di scuole dell’infanzia, dall’estensione del tempo scuola, in conseguenza non solo di esigenze sociali ma di una specifica scelta
educativa, da una forte integrazione tra scuola, territori, enti locali e agenzie culturali.
La nostra è una scuola che ha grandi meriti, ma che oggi deve affrontare comunque
nuove sfide: i cambiamenti culturali e di costume, il progresso scientifico e tecnologico a cui si intrecciano le contraddizioni sociali, che sono ancora più forti oggi in epoca di crisi.
Se vogliamo che la scuola sia al passo con le trasformazioni del nostro tempo e che,
soprattutto, non rinunci alla sua vocazione democratica di concorrere a determinare
promozione sociale servono investimenti inediti per quantità e per qualità.
In tempi di crisi si può, anzi si deve, continuare ad investire sul sapere e capitale
umano, per i giovani e il loro futuro, per i lavoratori e le lavoratrici che devono
ricollocarsi o riqualificarsi, per le imprese che devono innovare e conquistare nuovi
mercati, per dare risposta alle esigenze in essere e per creare le condizioni per lo
sviluppo.
Il Presidente dell’ISTAT, pochi giorni fa, in occasione della presentazione del Rapporto
Annuale 2009, ha sottolineato che “le difficoltà e le incertezze del presente non
devono far dimenticare i problemi che il Paese deve affrontare per assicurare un
futuro di prosperità alle generazioni attuali e a quelle future”.
Ma la drammaticità della crisi di questi ultimi anni, la mancanza di prospettive per le giovani generazioni, la crisi del sistema produttivo e la perdita di posti di lavoro hanno messo in secondo piano l’emergenza formativa di questo paese.
Come emerge dal Rapporto ISTAT 2009, il nostro paese è caratterizzato da bassi livelli di istruzione della popolazione.
Oltre il 46% della popolazione nella fascia di età 25-64 anni non ha conseguito più
della licenza media (in Europa è del 28,5%), e ancora troppo bassa la percentuale dei
laureati.
Il recupero del “gap formativo” rispetto all’Europa procede molto lentamente, a causa
del fenomeno della dispersione scolastica.
Si pensi che nel 2009 il 12,2% degli iscritti al primo anno della scuola superiore ha
abbandonato il percorso di istruzione e il 19,2% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha
abbandonato gli studi senza aver conseguito un diploma di scuola superiore (9 punti al di sopra dell’obiettivo fissato dalla strategia di Lisbona e riproposto da Europa 2020).
Non solo. Per effetto delle debolezze del sistema formativo nazionale, i ragazzi si
trovano spesso più impreparati dei coetanei europei ad affrontare le nuove sfide e i
crescenti livelli di competizione della società globalizzata. E il retroterra socioeconomico e culturale è ancora una discriminante sia in termini di accesso che di successo formativo.
Ci sono profondi divari tra i territori e tra fasce sociali e, come ci ricorda l’ultimo Rapporto della Fondazione Agnelli, il nostro è un paese nel quale i meccanismi della mobilità sociale si sono da tempo arrestati.
Ma come sottolinea lo stesso Rapporto, questo paese se vuole affrontare l’innovazione
del sistema dell’educazione innanzitutto deve comprendere che non può permettersi
una scuola iniqua.
Anche per l’Italia i dati mostrano una forte relazione tra equità ed efficacia: i risultati migliori negli apprendimenti si raggiungono nelle regioni dove è più bassa la percentuale degli studenti le cui competenze sono al di sotto della soglia minima.
Come mostrano numerose ricerche, la lotta all’abbandono scolastico, il miglioramento
dei livelli degli apprendimenti non sono in conflitto con la ricerca dell’eccellenza e, dunque, qualità ed equità della scuola possono e devono procedere insieme.
Garantire a tutti le medesime opportunità di accesso e permanenza nei luoghi della
formazione del capitale umano e il diritto ad apprendimenti di qualità sarebbe il
miglior investimento per la crescita del benessere individuale e collettivo.
Direzione Regionale, 31 maggio 2010 – Relazione di Marilena Pillati 3
Non basta garantire l’eccellenza per pochi: nella società della conoscenza l’equità della scuola è presupposto per lo sviluppo.
Eppure, le grandi “riforme epocali” del Governo che riguardano oggi la scuola italiana sono legate unicamente alla scelta di disinvestire sui sistemi dell’istruzione e della formazione.
Mentre dovremmo volgere lo sguardo in avanti per costruire la scuola del XXI secolo,
il Ministro Gelmini appena insediata aveva chiarito in un’intervista alla Padania che
avrebbe fatto suo il motto di Giuseppe Verdi “Torniamo all’antico e sarà un gran
progresso”.
Ed ecco il grande “progresso”: maestro unico, riduzione del tempo scuola, voti in
decimi, voto in condotta, un riordino delle superiori che riconferma una forte
gerarchizzazione tra licei, tecnici e professionali, la canalizzazione precoce e
l’irreversibilità delle scelte, la conseguente stratificazione sociale delle frequenze nei
vari ordini di scuola, e la possibilità a 15 anni di uscire verso un apprendistato senza
di fatto alcuna formazione.
I tagli di 8 miliardi di euro e di 87.341 docenti e 44.500 ATA previsti in 3 anni dal
Governo nella legge n.133 del 6 agosto 2008, sono tagli di sistema che ci consegnano
una scuola sempre più in difficoltà a garantire a tutti le medesime opportunità
formative e tradiscono la volontà di questo Governo di ridurre il ruolo e la funzione
dell’istruzione pubblica e la volontà di destrutturare tutto ciò che produce cultura e conoscenza.
Per il secondo anno consecutivo sono stati, dunque, effettuati tagli lineari alle risorse
umane, alle risorse finanziarie in modo fortemente centralistico, espropriando così le autonomie locali e autonomie scolastiche della loro prerogativa di concorrere alla
programmazione e alla destinazione delle risorse.
I tagli lineari agli organici anche quest’anno penalizzano pesantemente l’Emilia-
Romagna, che nell’anno scolastico 2010/2011 subirà una riduzione di 1.193 docenti,
che si aggiunge a quella dello scorso anno pari a 1.637 e alla riduzione di 651 posti di personale ATA. Questo nonostante l’aumento di 8.000 alunni (+ 2%), il più alto a livello nazionale.
E la cosa è tanto più grave se si tiene conto che la nostra regione dal punto di vista dei costi è la regione più virtuosa: è quella che ha il più alto numero medio di bambini per insegnante (11,2); il più alto numero medio di bambini per classe (22,06), in tutti gli ordini di scuola.
E’ anche la regione che ha la maggiore percentuale di alunni con cittadinanza non
italiana (attorno al 13%).
Non dimentichiamo che per l’anno scolastico 2011/2012, è previsto un ulteriore taglio
a livello nazionale di 19.676 docenti a cui si unirà la riduzione di 14.167 unità di
personale ATA.
In una regione come la nostra ad alta crescita demografica e ad alta domanda di
scuola e tempo scuola la forbice tra esigenze e risorse si allarga ogni anno di più.
Non possiamo non essere fortemente preoccupati per la forte riduzione degli organici
prevista in Emilia-Romagna, che provoca una forte diminuzione di tempo scuola, non
consente di aprire nuove sezioni di scuola dell’infanzia, impedendone la
generalizzazione, compromette la qualità dell’offerta formativa e rischia di non
consentire la sopravvivenza delle scuole nei comuni della montagna.
Direzione Regionale, 31 maggio 2010 – Relazione di Marilena Pillati 4
Le classi saranno sempre più numerose e l’attività scolastica sarà quasi
esclusivamente in aula. Il rischio è quello di abbassare ulteriormente i livelli di
apprendimento, di aumentare l’insuccesso scolastico, di mantenere le diseguaglianze
sociali e culturali in ingresso; di non riuscire a tener conto e a valorizzare le diverse
intelligenze e abilità. Si rischia di fare divenire la multiculturalità un problema anziché
un’opportunità.
Tutto ciò rende il lavoro nelle scuole quanto mai difficile e si diffonde così fra gli
insegnanti e i dirigenti un sentimento di solitudine e a volte di rassegnazione.
Le famiglie, in questo momento di particolare difficoltà dovuta alla crisi, non solo
vedono messo in discussione il diritto dei loro figli ad una scuola di qualità, ma si
troveranno a dover contribuire alle spese per il normale funzionamento delle scuole e
a ricercare risposte alternative alla diminuzione di tempo scuola.
L’educazione degli adulti con i tagli sia ai Centri Territoriali Permanenti che ai corsi
serali diventerà residuale, togliendo opportunità di acquisizione di titoli di studio e di
crescita culturale alla popolazione adulta. Si procede in modo contrario alle
raccomandazioni dell’Europa che assume l’investimento sulla formazione lungo tutto
l’arco della vita punto strategico per affrontare le sfide dell’innovazione.
Il taglio del personale della scuola si prefigura come una drammatica crisi
occupazionale. I precari saranno espulsi dalla scuola senza di fatto alcun
ammortizzatore sociale e per quelli di ruolo che perdono il posto nella loro scuola di
riferimento si apre un futuro di grande incertezza. Siamo di fronte alla perdita di tante
professionalità docenti che potrebbero ancora contribuire a migliorare questa scuola.
Condividiamo la legittima preoccupazione dei genitori e delle scuole di questa regione
che, accanto ai tagli all’organico, denunciano le difficoltà finanziarie e la mancanza di
liquidità delle scuole dovute ai mancati trasferimenti del MIUR (a livello regione si
valuta ammontino a circa 80 milioni di euro). Tutto ciò è inaccettabile perché mette in
discussione la possibilità di fornire il servizio scolastico secondo gli standard previsti
per legge e con le condizioni di sicurezza indispensabili, costringendo le famiglie a
contribuire con risorse finanziarie aggiuntive.
In questo quadro, i tagli previsti dal Governo non solo rappresentano un colpo
gravissimo al sistema dell’istruzione regionale, ma anche un impoverimento del livello
culturale di tutta la comunità.
E’ vero che, grazie ad un’efficace campagna mediatica che ha prima gettato discredito
sulla scuola e su chi vi lavora e poi ha fatto evocare in modo nostalgico la scuola del
passato, una parte dell’opinione pubblica non ha colto la gravità di quello che sta
accadendo in questo paese.
Ma nei tanti incontri che ho fatto in queste settimane ho potuto verificare che, non
solo tra gli operatori della scuola, ma anche tra i genitori è sempre più diffusa la
consapevolezza che questo Governo sta cercando di cambiare i connotati alla scuola di
questo paese e che anche in questa regione il diritto ad una scuola pubblica di qualità,
e dunque il futuro dei nostri figli, è messo seriamente in discussione.
Questa consapevolezza ha ridato slancio ad una forte mobilitazione da parte dei
genitori. I Presidenti dei Consigli di Circolo e di Istituto in molte province si sono
coordinati ed hanno dato vita a numerose iniziative. E’ sorto un coordinamento
regionale, che il PD regionale ha incontrato nei giorni scorsi avviando un dialogo.
Consapevoli della partita che si sta giocando per il futuro
dell’Italia, dobbiamo assumere come priorità di impegno politico la battaglia per difendere e
migliorare la scuola pubblica e impegnarci a mettere in campo azioni politiche a
fianco delle famiglie, del personale della scuola, degli amministratori pubblici, perché
in prima istanza siano rivisti i tagli previsti nella nostra regione.
Bene ha fatto il Presidente Vasco Errani a richiedere un incontro al Ministro, perché
riconsideri gli organici assegnati, tenendo conto dell’aumento della popolazione
scolastica e delle richieste delle famiglie.
La revisione dei tagli e l’assegnazione di ulteriori risorse sono la prima condizione
indispensabile perché in questa regione siano garantiti a tutti le stesse opportunità e
perché divenga credibile la possibilità di affrontare seriamente, al di la degli slogan, il
cosiddetto federalismo scolastico.
In questi giorni si parla molto di federalismo. In realtà, fin dal suo insediamento,
questo Governo ci ha abituato ad un nuovo centralismo, che mortifica
quotidianamente il sistema delle autonomie.
Ne è una riprova la manovra finanziaria da 24 miliardi, che per più di metà è a carico
delle Regioni e degli Enti Locali.
Poiché circa il 30% della ricchezza del sistema d’istruzione in Emilia-Romagna è
riconducibile agli enti locali, il taglio previsto dalla manovra finanziaria di riflesso
colpirà anche la scuola.
Sono dunque a rischio i fattori che promuovono la coesione della nostra società
regionale e il suo sviluppo.
Gli Enti Locali in questa Regione non si sono mai tirati indietro e responsabilmente
hanno sostenuto con risorse proprie la qualità del sistema scolastico e continueranno
a farlo. Un'azione di supplenza nei confronti delle carenze dello Stato non è, però,
sostenibile.
Dobbiamo denunciare in tutte le sedi politiche e istituzionali la gravissima
responsabilità del MIUR e del Governo nell'indebolimento costante e progressivo della
scuola pubblica e in generale nel processo di marginalizzazione del tema della
formazione quale risorsa di sviluppo e strumento per affrontare le conseguenze della
crisi in atto.
D’altra parte, però, contemporaneamente, abbiamo di fronte un’emergenza, che a
settembre si rivelerà con tutta la sua drammaticità: centinaia di bambini e bambine, in
questa regione, non avranno la scuola dell’infanzia e il tempo pieno, centinaia di
ragazzi avranno “meno scuola” e le famiglie che si troveranno a dover affrontare
questa difficile situazione si rivolgeranno ai Comuni per avere risposte ai loro bisogni.
La politica deve prefigurare una risposta agendo su più fronti:
a) allargando il fronte della battaglia politica, rivendicando politiche di governo
alternative a quelle attuali e qui c’è un grande spazio per un proposta riformista;
b) in questa regione, rilanciando la logica del sistema interistituzionale e sociale e
unendo tutte le risorse disponibili secondo interventi prioritari e condivisi per
affrontare nel frattempo l'emergenza. Perché il tema della formazione deve riguardare
l’intera società.
Qui partiamo da quello che già c’è. Il punto di forza del nostro sistema scolastico, l’ho
già detto, è stato il suo rapporto forte con il territorio. Non solo in termini di risorse,
ma anche in termini di relazioni fino a costruire veri accordi programmatici tra scuola
Direzione Regionale, 31 maggio 2010 – Relazione di Marilena Pillati 6
ed enti locali che assumono l’impegno comune di “lavorare” per il benessere dei
giovani.
Di fronte alle scelte del Governo diventa importante che Regione, Enti locali ed
Istituzioni scolastiche rafforzino la governance territoriale. Questa è una delle
condizioni primarie per non arretrare sul piano della qualità diffusa del nostro sistema
educativo e perché la scuola e le famiglie non si sentano sole.
Sulla forte relazione tra le autonomie nel territorio è necessario puntare non solo per
contrastare gli effetti delle scelte del Governo, ma anche per mettere in campo
proposte per qualificare il sistema formativo.
Dobbiamo rilanciare alcuni grandi obiettivi per noi prioritari sui quali concentrare le
politiche di governo. Ne voglio indicare alcuni.
- Implementare la diffusione dei servizi educativi per l’infanzia, che rispondano
organizzativamente in modo flessibile alle necessità delle famiglie, secondo criteri di
qualità, per offrire ad un numero crescente di bambini le migliori opportunità
educative, di sviluppo e di relazione, favorendo nel contempo la possibilità di accesso
al lavoro dei genitori e in particolare delle donne.
- Sostenere e qualificare le esperienze di tempo scuola arricchito, nel ciclo di base a
partire dalle tradizioni di tempo pieno, da proiettare in una dimensione di forte
innovazione anche attraverso nuove forme di integrazione delle diverse opportunità di
scuola e territorio.
- Sostenere l’autonomia delle scuole per costruire un nuovo patto tra scuola e
territorio. Si tratta di creare le condizioni effettive perché l’autonomia funzionale possa
essere esercitata e questo può avvenire innanzitutto se la si dota delle risorse
necessarie, mettendola in condizione di realizzare la collaborazione con i territori per
la definizione, la qualificazione, la realizzazione dei Piani dell’Offerta Formativa.
La qualità della scuola dell’autonomia si costruisce nei territori, attraverso processi
virtuosi di concertazione fra queste e altre agenzie formative o altri soggetti sociali
con la mediazione di un sistema di autonomie locali analogamente connesso in rete.
Fare sistema aiuta a superare autoreferenzialità che a volte ancora impedisce di
perseguire l’innovazione e la qualificazione dell’azione pubblica.
- Riconoscere, valorizzare e sostenere il lavoro dei docenti e del personale della scuola
e della formazione. Non è più rinviabile l’investimento nella professionalità dei docenti,
attraverso sia la formazione iniziale sia quella in servizio, e la stabilizzazione con il
superamento del precariato.
- Mettere la scuola in grado di investire su processi di innovazione didattica e dei
contenuti, per motivare i nostri giovani allo studio, implementare e diffondere le
esperienze significative con forte interrelazione tra il sapere e il saper fare, investire
sulle nuove tecnologie, sui nuovi linguaggi.
- Costruire una concreta politica di formazione per tutto l’arco della vita, in difesa e
promozione della qualità professionale e culturale del cittadino ad ogni livello di età,
consapevoli che questo significa creare le condizioni per la crescita delle
professionalità dei lavoratori e per contrastare l’espulsione dal mercato del lavoro e
per favorire il mantenimento di rapporto fra le generazioni, a fronte di rapidi
cambiamenti culturali che rendono sempre più difficile per le famiglie comprendere ed
affrontare le tematiche poste dai giovani. Bassi livelli di scolarità e di cultura degli
adulti non solo generano difficoltà enormi nell’esercizio di una cittadinanza completa e
nelle possibilità di riconversione professionale, ma creano rigidità, espulsione dal
lavoro, vissuti di solitudine e insicurezza, limitano il successo scolastico dei figli,
Direzione Regionale, 31 maggio 2010 – Relazione di Marilena Pillati 7
contribuiscono a bloccare ulteriormente la mobilità sociale e dunque pesano due volte
sulla qualità sociale e sulla prospettiva di un territorio.
- Sviluppare i rapporti tra istruzione, formazione, mondo del lavoro e delle imprese. La
formazione per tutto l’arco della vita deve anche essere capace di riorientare gli stessi
percorsi scolastici e universitari, rompendo alla radice la separazione tra sapere e
saper fare. La scuola di base deve saper valorizzare le capacità di ciascuno,
valorizzare le diverse intelligenze, dare a tutti gli strumenti per affrontare la vita e il
lavoro in maniera critica e intelligente. La scuola superiore e l’università devono
interagire coi cambiamenti del lavoro e delle professioni, assumendo i contesti
lavorativi e sociali come un dato rilevante per ridefinire le proprie priorità didattiche e
di ricerca.
L’attuazione delle politiche di governo oggi deve confrontarsi con il tema della riforma
del Titolo V della Costituzione, che prevede il passaggio alle Regioni di competenze
legislative sull’istruzione. Due recenti strumenti legislativi (la legge Delega sul
federalismo fiscale e l’Accordo Stato-Regioni) potrebbero accelerare il processo di
devoluzione delle funzioni.
Del resto è a partire dall'approvazione della legge Bassanini (n. 59/1997) che sono
stati definiti una serie di provvedimenti che hanno spostato il baricentro delle decisioni
dal ministero alle scuole, dall’amministrazione scolastica alle regioni, alle province, ai comuni, ma questo processo di trasformazione che ha coinvolto parallelamente sia il sistema scolastico sia il sistema delle autonomie locali è ancora lungi dall’essere compiuto.
Da un lato il sistema delle autonomie locali è titolare di competenze specifiche in
ordine alla scuola, ma non dispone ancora di risorse certe e autonome di bilancio per
la programmazione delle molteplici attività derivanti dai processi di delega in corso di definizione.
Dall’altro lato il sistema scolastico nazionale non vede una piena attuazione di quanto previsto dalla legge sull’autonomia scolastica, sia in termini di funzionalità che in termini di rapporto con il territorio.
Credo che mai come ora vi sia la necessità di accelerare un processo di trasformazione già scritto ma che impone di fare delle scelte per essere realizzato.
Con questo nuovo impianto istituzionale si sancisce un diverso protagonismo del
sistema delle autonomie, tra cui le istituzioni scolastiche, nel quale Regioni ed Enti locali sono chiamati ad esercitare un ruolo essenziale di governo basato sulla
chiarezza dei compiti e delle responsabilità.
Condizione preliminare ed essenziale per questo nuovo governo del sistema di
istruzione e di formazione è che lo Stato, al quale competono gli indirizzi generali,
definisca tra l’altro: a) il mandato istituzionale di ogni livello del sistema di istruzione per garantire l’unitarietà del sistema; b) un affidabile sistema di valutazione;
c)certezza di risorse professionali e finanziarie per la cui definizione sono indispensabili il
confronto e, per le parti di competenza, la piena condivisione del sistema delle
autonomie locali.
Serve un atteggiamento politico adeguato a questa nuova situazione che porti a
scelte, anche di carattere normativo, discusse e condivise tra i vari soggetti. In
particolare, è necessario creare le condizioni perché le autonomie scolastiche trovino adeguate modalità di rappresentanza.
In questa fase è importante che lo Stato completi il trasferimento delle funzioni
amministrative alle Regioni e agli Enti Locali, per rendere effettivo il trasferimento
delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio della nuove
funzioni e per ridefinire l’amministrazione scolastica periferica.
Le recenti vicende legate alla manovra finanziaria in atto potrebbero spingere la
maggioranza sotto l'incalzare della Lega ad accelerare il tema del federalismo in
condizioni politiche inaccettabili. Sul terreno della scuola non possiamo lasciare
l'iniziativa alla Lega Nord, una forza che da un lato accetta i provvedimenti del
governo e dall'altra rilancia in piena contraddizione i temi di proprio strumentale
interesse. In questa situazione la Lega sta giocando un doppio ruolo quello di sostegno
al Governo a livello nazionale e quello di opposizione nei territori. Dobbiamo
“asciugare l’acqua dello stagno dove prolifica” non inseguendola sul piano del
consenso ma offrire una proposta credibile di alternativa.
La politica con la “P” maiuscola deve offrire una ragione di speranza, una via di uscita possibile da ciò che appare immodificabile, la politica deve tornare ad essere sentita indispensabile a migliorare la vita quotidiana di molti.
Non v’è alcun dubbio che per noi la scuola deve restare l’asse portante dell’unità
nazionale e una diversa articolazione delle responsabilità di governo del sistema
richiede che ci sia una visione culturale unitaria.
Noi dobbiamo metterci nelle condizioni da oggi di accettare la sfida di ripensare alla governance del sistema d’istruzione per andare oltre la controriforma Gelmini, avendo l’ambizione di diventare punto di riferimento nazionale.
La Regione può farsi promotrice di una specifica iniziativa anche legislativa e le forze politiche di Centrosinistra, a
partire dal livello regionale, dovrebbero affrontare la sfida mettendo in campo al più presto un gruppo di lavoro per fare incontrare e sollecitare diverse esperienze e
competenze e dare un contributo di merito ad un’ipotesi legislativa su questo tema.
Del resto, la storia della nostra Regione è fondata sul sistema delle autonomie, ed è in quel contesto che va declinata un'altra idea di federalismo, la "nostra", e una diversa articolazione delle responsabilità in materia d’istruzione.
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Mussolini nella maturità. La nostra opposizione
di Davide Ferrari


La citazione di Mussolini, così come è avvenuta, in un tema d'esame di maturità è un fatto gravissimo. Il contesto ambiguo e confuso nel quale è sta inserita non può far velo. Siamo ad un'ulteriore tappa della banalizzazione del fascismo e di una inaccettabile subalternità al revisionismo storico. Mussolini: il dittatore, il guerrafondaio, il razzista, il colonialista, il responsabile della ritirata di Russia e della guerra civile. Quale di questi deve essere considerato un interlocutore delle riflessioni dei giovani di oggi? La citazione di Mussolini in un tema di maturità avviene dopo ripetute incursioni mediatiche tutte rivolte a normalizzare la figura del dittatore, dopo i noti richiami di Berlusconi e numerosi altri tentativi di riabilitazione portati avanti da più parti ma con particolare insistenza dalla Destra che oggi è al potere in Italia. Si vuole accreditare l'idea che, se non positiva, quella lunga pagina nera della storia italiana, può essere comunque considerata "ufficialmente" grigia, segnata da un uomo con luci e ombre, che ha lasciato anche degli insegnamenti che vanno presentati ai giovani. Bisogna rilevare come questa operazione di normalizzazione di Mussolini viene fatta proponendo un estratto del suo discorso alla Camera con il quale rivendicava la responsabilità politica e morale dell'omicidio Matteotti senza nemmeno segnalare ai maturandi come, in quel momento storico, ciò abbia costituito l'affermazione definitiva della dittatura e la rivendicazione dell'assassinio di una delle personalità democratiche più brillanti e coraggiose. Non si tratta quindi di una volontà di far conoscere la storia, ma al contrario, anche nelle specifiche modalità scelte, di occultarla, di decontestualizzarla, di rendere anonimi e uguali tutti i suoi passaggi. Deve ora esserci una risposta. E' necessario prendere l'iniziativa, suscitare una riflessione.Ed è auspicabile che tale risposta possa segnare l'avvio della ripresa di una vera conoscenza del fascismo, dei suoi caratteri e delle sue rovinose conseguenze. La Repubblica democratica è nata da questa opposizione e l'affermazione di valori del tutto contrari al fascismo ne costituisce la pietra angolare, il fondamento, il punto di riferimento e di legittimità essenziale.

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Mussolini nella maturità 2. Un esempio di contesto.

Pubblichiamo questa lettera aperta della Fnism: "Bella ciao" è una provocazione. Soprattutto se intonata dai ragazzi di una scuola.

IL CONFINE TRA STORIA E CRONACA

E’ vero che siamo immersi in un frastuono in cui tutto si mescola, dà adito a sospetti e interpretazioni dietrologiche, ma un confine almeno orientativo bisognerebbe pur mantenerlo.
E sembra impossibile che i ragazzi della scuola media di Roma che hanno intonato “Bella ciao” come fuori programma durante la rappresentazione svoltasi al MIUR con un repertorio di musica classica, popolare e di gospel, siano stati richiamati dalla loro preside per aver compiuto “un atto deplorevole e privo di senso”. Quasi fossero agenti sovversivi sotto copertura inviati dal bieco Santoro di “Anno Zero” a turbare la quiete ministeriale.
Magari è vero che non si è trattato di comportamenti del tutto spontanei e naturali dei ragazzi, ma avvallando questa interpretazione la preside cade per prima nella trappola per cui pezzi del nostro patrimonio storico e culturale –e la Resistenza ne è un pezzo importante- possono essere rubricati a destra o a sinistra sulla base di una loro strumentalizzazione che appartiene tutta alla dialettica che anima il presente.
E’ la conferma di quanto sia fragile quel terreno condiviso che, al di là della cronaca che agita il quotidiano, costituisce la salvaguardia di una comune identità d’appartenenza.
E se gli anni e gli avvenimenti che ci dividono dalla Resistenza sembrano insufficienti a sottrarre i suoi simboli e i suoi valori alla strumentalizzazione politica, allora vuol dire che quel terreno comune è proprio scarso. Questo significa mettere in discussione la storia e ridurre tutto a cronaca, come del resto succede se si reinterpreta Garibaldi alla luce delle ragioni della Lega, che hanno ben poco a che fare con la correttezza della ricostruzione storiografica. L’unità d’Italia, anziché punto d’arrivo e di superamento di una frammentazione non solo politica ma di occupazione straniera, diventa terreno di scontro su cui aprire diatribe ideologiche fuori da ogni realtà.
Certo i ragazzi del coro della SM “G.Belli” avranno provato un brivido d’emozione a sentirsi calati dentro la storia –o meglio la cronaca- col loro gesto, ma d’altra parte quale indice migliore per spiegare loro il pessimo clima in cui stiamo vivendo?

Giugno 2010

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Secondaria, ricorsi 1. Il Tar sospende. La voce delle associazioni


IL TAR DEL LAZIO SOSPENDE L'EFFICACIA DELLE CIRCOLARI DELLA GELMINI SULLE ISCRIZIONI NELLE SCUOLE SECONDARIE, SUGLI ORGANICI DI OGNI ORDINE E GRADO E SULLA MOBILITA’.
I provvedimenti del Governo sulla scuola non solo distruggono la scuola pubblica con un taglio di 8 miliardi di euro, di 87.000 posti di insegnamento e di 45.000 posti di personale non insegnante, ma sono illegittimi.
Il TAR del LAZIO, con ordinanza n. 1023 del 25-6-10, ha accolto la richiesta dei legali dei ricorrenti, Maria Virgilio e Corrado Mauceri e ha disposto la sospensione dei provvedimenti impugnati ed ha ordinato al Ministro di depositare nel termine di quindici giorni una " documentata relazione che riferendo sui fatti di causa, controdeduca puntualmente sui motivi dedotti con il ricorso".
Il TAR ha rinviato al 19 luglio la prossima udienza per decidere se confermare o meno la sospensione dei provvedimenti impugnati.
La sospensione comporta che fino a quella data tutte le operazioni sull’organico e i relativi trasferimenti del personale perdente posto e quelle sulle iscrizioni sono congelate. La serie di illegittimità compiute dal Ministro, che – usando circolari come fossero leggi - ha forzato tempi e procedure della riforma al solo scopo di incassare i tagli di spesa , ha messo nel caos le scuole e mette a rischio l’inizio regolare del prossimo anno scolastico.
L’arroganza del Ministro è giunta fino al punto da non partecipare all’udienza davanti al TAR del 24 giugno, neppure presentando memoria scritta.
Il ricorso è stato presentato da 755 docenti, genitori, personale Ata, studenti, unitamente al Comitato Nazionale per la scuola della Repubblica, al Comitato Bolognese Scuola e Costituzione e al Crides di Roma, ed è stato organizzato dai Coordinamenti scuole superiori di Roma, Bologna, Firenze, Pisa, Padova, Vicenza, Parma, Modena, Ferrara, Milano nonché dal Tavolo regionale della Toscana per la difesa della scuola statale.
Il danno derivante dalla operazione governativa è gravissimo. I genitori hanno dovuto procedere all’iscrizione dei figli alle prime classi dei nuovi indirizzi per l’a.s. 2010/11:
a) senza conoscere i programmi di studio
b) sulla base del piano dell’offerta formativa dello scorso anno che gli Istituti non sono stati in grado di aggiornare, in mancanza dei programmi e dei regolamenti definitivi;
c) gli iscritti alle prime classi dei professionali non hanno alcuna garanzia che gli istituti statali siano in grado di offrire la qualifica professionale triennale finora prevista, visto che la competenza al riguardo è soggetta alle decisioni delle singole Regioni.
I genitori e gli studenti già iscritti agli istituti tecnici e professionali e che frequenteranno le prossime classi seconde terze e quarte si troveranno a loro insaputa dal prossimo settembre l’orario ridotto da 2 a 4 ore. Essi sono stati iscritti d’ufficio alla classe successiva senza essere informati del cambiamento e senza conoscere le materie soggette alla riduzione d’orario.
I Collegi dei docenti sono stati impossibilitati a definire un nuovo piano dell’offerta formativa:
a) i nuovi indirizzi di studio sono stati imposti tramite pubblicazione sul sito del Ministero nel mese di marzo. In tal modo è stato impedito agli Istituti di avanzare le loro motivate proposte di modifica delle confluenze fra gli indirizzi del vecchio e del nuovo ordinamento, come pure previsto dall’art.13 c.5 del regolamento di revisione dei Licei;
b) i Collegi non sono stati in grado di definire il loro nuovo piano dell’offerta formativa da presentare ai genitori all’atto dell’iscrizione;
c) è stato imposto ai Collegi l’adozione dei libri di testo entro il 31 maggio per le nuove classi prime senza che fossero definiti i nuovi programmi (Indicazioni per i Licei, Linee guida per i Tecnici e Professionali), che sono stati modificati più volte e sono ancora in via di pubblicazione definitiva. Molti collegi hanno rifiutato di deliberare al riguardo, altri hanno adottato testi improvvisati e definiti in base alle prime bozze dei programmi, che sono state poi profondamente modificate anche in seguito al parere del CNPI e delle Associazioni professionali.
E’ incerto a quali insegnanti verrà affidato l’insegnamento delle discipline introdotte dai nuovi ordinamenti e non previste dai precedenti.
Sono in enorme ritardo le operazioni di definizione dell’organico e quindi quelle di mobilità; in questo momento sono in fase di definizione quelle della sola scuola primaria.
I docenti si troveranno trasferiti d’ufficio sulla base di un organico basato per il prossimo anno su classi di concorso “atipiche” ovvero di classi prodotte da una commistione fra le vecchie classi e quelle previste dal regolamento di revisione, previsto dal comma 3 dell’art. 64 della Legge 133/08, che risulta approvato dal CDM il 12/06/09, ma è rimasto congelato nel suo iter.
In tal modo alcune graduatorie verranno penalizzate dall’unificazione con altre.

Le associazioni ricorrenti a nome di tutti i 755.
Bologna 26/06/10
I testi dell’ordinanza, dei motivi aggiunti, del ricorso e la memoria depositata sono disponibili all’indirizzo
www.scuolaecostituzione.it

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Secondaria, ricorsi 2. Una nostra prima riflessioni
di Davide Ferrari


Non siamo particolarmente affezionati alle iniziative legali. Preferiamo una battaglia sul campo delle idee, dewlle proposta, che convinca e induca a nuova partecipazione.
Crediamo nella politica e nel sindacalismo confederale, non a caso.
Ma, in due parole, "quando ci vuole ci vuole".
Associazioni come "La scuola della Repubblica" e "Scuola e Costituzione" hanno raccolto un nutrito drappello di firme in calce ad una richiesta al Tar di sanzionare l'evidente illeggittimità di un Governo che pretende di cambiare tutto senza legge, per via di circolari. Un altra istanza ha promosso, sul medesimo terreno, la CGIL. Il Tar del Lazio, in prima udienza, ha sospeso le disposizioni di Gelmini. E' un passo importante.
Vedremo come finirà nel giudizio che è prossimo, rinviato alla prossima udienza di Luglio.
Tuttavia l'iniziativa dei ricorrenti ha espresso una richiesta di legalità importante, in un paese nel quale in ogni campo si vuole imporre l'arbitrio.
Certo, sono anche pasticcioni ed affrettati, ma usano il loro difetto per colpire, con la violenza di chi non ha rispetto per lavoratori e studenti, per la scuola e la società italiana.
Usano il loro pressapochismo come una clava per sovvertire la certezza delle normative, per annullare i diritti.
Per questo esprimiamo la nostra solidarietàà a chi ha intrapreso questa iniziativa e la seguiremo, con la nostra ottica, certamente, ma anche con l'attenzione che merita.

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Secondaria, ricorsi 3. Una lettera della FLC-CGIL

Roma, 28 Giugno 2010

Una lettera al Ministro Gelmini

Onorevole Ministro,
la FLC CGIL manifesta grandissima preoccupazione per la situazione che si sta creando nelle scuole italiane per effetto dei provvedimenti conseguenti al riordino della scuola secondaria e dell’applicazione della legge 133/2008. Abbiamo più volte rappresentato la gravità di quanto sta avvenendo in tutte le riunioni ufficiali, abbiamo più volte messo in evidenza che i diritti degli studenti e dei lavoratori sarebbero stati irrimediabilmente lesi.
Le iscrizioni sia al primo che al secondo ciclo si sono svolte in una situazione di incertezza per le famiglie e per gli studenti. Per quanto riguarda la scuola primaria infatti la scelta delle famiglie è avvenuta sulla base di un offerta oraria indeterminata e non sicura, condizionata dalle disponibilità di organico. Per quanto riguarda la scuola secondaria la scelta è avvenuta sostanzialmente al buio sulla base di atti inefficaci, in quanto non assistiti dal carattere della definitività. Crediamo che quello che è avvenuto sia molto grave in termini di responsabilità e di trasparenza del Ministero da Lei guidato.
Sul versante dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, si sta procedendo in questi giorni alla determinazione degli organici della scuola secondaria in una situazione di grande confusione, con procedure affrettate e che potrebbero determinare un contenzioso tale da mettere in discussione l’avvio del prossimo anno scolastico. Inoltre, per tutto il personale sia docente che ausiliario, tecnico e amministrativo, questo avviene o è avvenuto sulla base di atti, quali i decreti interministeriali sulle dotazioni organiche, giuridicamente inesistenti. Lo stesso TAR del Lazio, la scorsa settimana, ha rilevato questo aspetto e ha concesso la sospensiva ad un ricorso che precede temporalmente una serie di altri, compreso quello presentato dalla FLC CGIL, sui quali riteniamo la decisione non potrà essere diversa.
Crediamo che si possa ancora bloccare questa deriva, fare un passo indietro rispetto a scelte che stanno compromettendo il nostro sistema di istruzione e in modo particolare, in questa fase, sospendere i provvedimenti relativi alla scuola secondaria di secondo grado.
Per la FLC CGIL la scuola e chi vi lavora rappresentano un bene primario per il nostro Paese da difendere e tutelare sempre.
Cordiali saluti

Domenico Pantaleo

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ADRO, LA MENSA E IL TEMPO PIENO
di Gian Carlo Sacchi


Quanto accaduto di recente ad Adro per opera dell’amministrazione comunale (ma non è l’unico fatto di cronaca) circa l’esclusione dei bambini morosi dalla mensa scolastica contrasta con uno dei più antichi principi pedagogici: maxima debetur puero reverentia, e fa scontare ai piccoli le colpe dei genitori, perchè certo non avranno potuto decidere i bambini se pagare oppure no.
E’ vero che il civismo dei giorni nostri lascia molto a desiderare, però se certo malcostume è stato tollerato e a volte incitato ad esempio verso l’evasione fiscale, non sarà facile recuperare rigore o addirittura scambiarlo con la discriminazione.
La questione che qui si vuole evocare è un’altra, riprendere un libro di Elio Damiano del 1977 (Editrice La Scuola), intitolato Adro tempo pieno, in cui si descriveva una delle prime esperienze di questo tipo in Lombardia (l’altra era a Rho).
La storia di questa scuola ci richiama alle origini del tempo pieno, legate all’esigenza da parte dei docenti di differenziare i modi e le decisioni relativi al lavoro educativo e dei genitori di superare la delega nei confronti della scuola. Questi movimenti reciproci, evidenzia Damiano, non potevano non avere modalità e ritmi diversi, ne potevano svolgersi l’uno indipendente dall’altro, come passaggio dalla scuola di stato alla scuola della comunità (pag. 14).
Sarebbe bene riflettere se quello che è accaduto in seguito nel tempo pieno ha sempre tenuto fede a detti fondamenti o se ci sono state delle incrostazioni ideologiche, o se la domanda dei genitori ha assunto un carattere via via più assistenziale, ma certamente oggi ci troviamo di fronte ad un indirizzo politico che rischia di buttare il bambino insieme all’acqua sporca.
E’ sorprendente che proprio chi guarda al territorio come principale fonte di ispirazione culturale e formativa metta in crisi un modello che è nato proprio per superare il centralismo statalista; verrebbe da domandarsi se nella Adro di oggi non sia la scuola in genere ad essere poco considerata e se il territorio piuttosto che un alfabetiere, un trampolino per collocare nel mondo, venga praticato come rifugio identitario, nonché il luogo del carpe diem.
Il tempo pieno si è sempre dovuto confrontare con la “ideologia della vicarianza”, è stato combattuto per voler sottrarre i figli alle famiglie, indurre un principio egualitari stico, ed è stato invocato per supplire a famiglie in crisi educativa o che per motivi di lavoro non possono occuparsi dei piccoli; fatto sta che oggi la Lombardia è la regione con la più elevata domanda in tal senso.
Gli si è imputato un’azione deterministica tra contenuti da insegnare e metodi da apprendere, mentre al tempo scuola è stata collegata una metodologia orientata ai processi, che si è sviluppata in una pluralità di linguaggi, in modo attivo e con tecniche di individualizzazione, cosa che si ridurrà di fronte al maestro unico destinato progressivamente ad immobilizzare gli alunni nelle classi e gli apprendimenti su quelli considerati, magari dalle valutazioni esterne, prevalenti.
Una didattica process oriented significa ottenere risultati in termini di personalità, andare oltre al nozionismo, scongiurandone il ritorno, ma anche al formalismo metodologico che oggi sembra suscitare tanto timore e di cui peraltro si discute da oltre trent’anni (pag. 60).
Per Adro tempo pieno la mensa ha costituito sia il passaggio dalla visione assistenziale di sostegno ai pochi alunni che frequentavano il doposcuola, sia un’occasione concreta di partecipazione dei genitori alla gestione del servizio, sia una modalità di collaborazione con il paese, a cominciare dal versante degli approvvigionamenti. Erano gli anni del passaggio dal “patronato” al “diritto allo studio”, il che ha comportato nell’aumento del tempo scuola per tutti il consolidamento e l’ampliamento della mensa.
A questo punto anche il pranzo comunitario non è più un servizio complementare, ma entra a far parte dell’ambiente educativo, come di una realtà in cui si sviluppano relazioni, un continuum sensoriale – affettivo – pratico che coinvolge tutto e tutti. Conoscere è dunque un processo vitale che si costruisce nell’ambiente nel quale si gioca la personalità (pag. 135).
Era una scuola non più riservata all’esercizio professionale specialistico degli insegnanti, bensì aperta a tutti i possibili agenti educativi, non in quanto portatori di tecniche, ma di competenze umane, testimoni di stili di vita. In questo modo l’alunno imparava ad esplorarsi ed a esplorare, a scegliere e a progettarsi e l’insegnante educa più per quello che è che per ciò che sa.
E’ qui che avviene il confronto tra obiettivi legati allo sviluppo personale e sociale e alfabetizzazione strumentale, al punto da contrapporre anche i termini di verifica dell’innovazione. Vogliamo davvero tornare indietro pensando che una scuola inclusiva non educhi, che un tempo più lungo sia solo una necessità di parcheggio e il team il prodotto di una pedagogia illuminista ?
Genitori e docenti hanno discusso molto anche allora ad Adro, nel loro più alto momento di sperimentazione, pensando ad un investimento per il futuro dei bambini. Ora forse non si discute più e ciò che resta è il dato di chi non paga la mensa.

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Manovra finanziaria e scuola
Di Sandra Soster


La manovra finanziaria rappresenta un’ulteriore colpo alla scuola ed esprime un limpido disprezzo per il suo lavoro. Colpisce stipendi (già i più bassi d’Europa) e future pensioni di insegnanti e ATA e li trattiene in servizio anche se non ce la fanno più, con quali conseguenze sulla qualità della scuola è facile immaginare. Continua il taglio, a regime, di 150.000 posti di lavoro, ma si blocca anche il turn over, con il risultato di una scuola sempre più precaria, discontinua, concentrata sull’esigenza di “garantire il servizio” giorno per giorno, senza più modelli didattici di riferimento e senza sapere a settembre chi insegnerà che cosa. Un taglio ulteriore del 10% alle risorse per supplenze e funzionamento di scuole già al collasso finanziario (quelle bolognesi sono già in credito dallo Stato di 24 milioni di euro per spese obbligate per legge ma senza i finanziamenti adeguati da anni). Drammatiche le ripercussioni del taglio alle risorse degli Enti locali che coprono un terzo dell’investimento pubblico per ogni ragazzo a scuola in Emilia-Romagna, proprio quando i 628 bambini fuori dalla scuola dell’infanzia e le 1.500 famiglie senza tempo pieno chiedono loro di fare di più. Se poi consideriamo l’espulsione in massa dei nostri giovani migliori dall’università e dagli enti di ricerca (1.200 unità stimate a Bologna) si completa il quadro del sacrificio inaccettabile imposto ai giovani di oggi e di domani: a chi ha finito gli studi e non trova lavoro, o ci era appena entrato precariamente ed ora ne è espulso, per finire ai ragazzi che cresceranno in una scuola meno accogliente per chi ha più bisogno e di molto peggiore, per tutti, rispetto a quella dei loro padri. Lo studio, una buona educazione dai 3 anni all’università non sono più né un valore né un investimento, tanto meno un diritto esigibile: visto che la laurea non serve per il lavoro, meglio generalizzare l’apprendistato (i ministri Gelmini e Sacconi nel Piano Italia 2020). L’ignoranza è funzionale ai regimi: purtroppo, lo sappiamo da un pezzo.

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Le scelte di Gelmini sull'Università e la manovra economico-finanziaria di Tremonti
Un documento della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna


Dopo le iniziative del 25 gennaio e del 10 giugno 2010 – alle quali hanno preso parte, oltre a numerosi esponenti del mondo culturale e universitario bolognese, anche i senatori Mauro Ceruti, e Walter Vitali, l’onorevole Manuela Ghizzoni, l’assessore alla cultura della Regione Emilia- Romagna, Massimo Mezzetti, Carlo Galli (Presidente della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna) e Gian Mario Anselmi entrambi dell’Università di Bologna – la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna riassume nel testo che segue le considerazioni scaturite dalla discussione sul ddl Gelmini di riforma dell’Università e sulla manovra economico-finanziaria Tremonti, per quanto riguarda gli effetti di questa sul sistema universitario e sugli Enti e Istituzioni culturali.

A fronte di indicazioni accettabili – come l’attribuzione ai Dipartimenti di responsabilità per la didattica, la facoltà di organizzare gli Atenei in Scuole, la riforma del sistema concorsuale, la stessa nuova attenzione alla valutazione – il ddl Gelmini conferisce eccessivo potere ai Rettori e ai Direttori generali, ma soprattutto ai Cda, mettendo a repentaglio l’autogoverno degli Atenei; non investe sulla ricerca né sulle nuove assunzioni, che disciplina secondo modalità che riprodurranno nuove forme di precariato; affida la valutazione a un ente, l’Anvur, dalla composizione ancora poco chiara. Nel complesso, il ddl Gelmini con la mancanza di previsioni di finanziamento al sistema universitario, è una manifestazione di sordità verso il ruolo strategico dell’Università nel mondo di oggi e di domani, e anche verso la stessa idea dell’Università come magistratura scientifica della Repubblica e come luogo di elaborazione di saperi al contempo scientifici e critici.
Da parte sua, la manovra Tremonti colpisce, oltre al personale tecnico-amministrativo, il corpo dei docenti, già ridotti dal ddl Gelmini a uno status impiegatizio, e ora sottoposti anche a un attacco alle retribuzioni (fra le più basse d’Europa). Per questa via si vuole umiliare una delle poche élites – insieme alla magistratura – non del tutto accondiscenti verso l’attuale maggioranza, dopo che l’opinione pubblica è stata resa ostile da campagne scandalistiche che hanno enfatizzato comportamenti riprovevoli di ridotte aliquote di docenti, e forme di malcostume (come il proliferare degli Atenei e dei Corsi di laurea) non certo ascrivibili all’unica responsabilità dei professori universitari. Mentre si è generalmente taciuto che, data la quantità scandalosamente bassa dei finanziamenti che vi pervengono, il nostro sistema universitario è molto efficiente, se paragonato a realtà internazionali ben più riccamente dotate.

La manovra Tremonti, inoltre, colpisce indiscriminatamente il tessuto nazionale e locale degli Enti e delle Istituzioni culturali, che costituisce una delle ricchezze della nostra vita civile e una delle risorse inalienabili della nostra democrazia. La diffusione partecipata delle più varie forme di cultura e dei più diversi saperi è infatti componente essenziale della comunicazione sociale, e risponde all’esigenza (politica in senso lato) di sottrarre la nostra vita associata alle dinamiche alienanti e atomizzanti del consumo di massa e della passività mediaticamente indotta, e di promuovere un saldo spirito civico, e una più ricca e elevata condizione umana. I tagli alla cultura paiono motivati, assai più che da esigenze economiche reali, dall’intento politico e ideologico di attuare una desertificazione culturale della società, e, mettendo nell’impossibilità di funzionare anche Enti e Istituzioni di altissimo prestigio e di illustre tradizione, sono testimonianza di una visione mortificante e mercificante della vita civile e culturale della Repubblica.

La Fondazione Gramsci Emilia-Romagna – nella convinzione che ricerca scientifica, didattica universitaria e produzione sociale di cultura siano dimensioni strategiche di una società libera e evoluta – si fa quindi interprete delle preoccupazioni che i suoi componenti hanno manifestato, tanto sul versante dell’Università quanto su quello delle istituzioni culturali; si appella ai deputati dell’opposizione perché contrastino con la massima energia, e comunque migliorino per quanto è possibile, entrambi i ddl; si augura una forte reazione sociale e civile contro i due provvedimenti; e individua nella Regione l’interlocutore politico capace di farsi carico del compito di uscire positivamente dall’attuale crisi, e quindi di promuovere, assecondare e razionalizzare – in spirito di libertà e di collaborazione – rapporti organici con le Università e con gli Enti e le Istituzioni culturali, a loro volta responsabilmente impegnate a ottimizzare le occasioni di rinnovamento che l’attuale congiuntura impone.



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Senato della Repubblica

SCUOLA: SOLIANI E PIGNEDOLI (PD) A GELMINI, "E' UN DIRITTO INVIOLABILE
MANIFESTARE IL PROPRIO PENSIERO. LA SCUOLA DOVREBBE INSEGNARLO"

Dichiarazione delle senatrici del Pd Albertina Soliani e Leana Pignedoli



"Il Ministro dell'Istruzione Maristella Gelmini ritiri immediatamente la
circolare che il direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale
dell’Emilia-Romagna, Marcello Limina, ha inviato, a fine aprile, ai
dirigenti delle Istituzioni scolastiche della Regione per vigilare sul
personale scolastico affinché non renda agli organi di stampa dichiarazioni
in cui si esprimono posizioni critiche nei confronti dell'amministrazione
di appartenenza, ovvero del Ministero dell'Istruzione e dei suoi più
stretti collaboratori". Lo chiedono, con una interrogazione urgente al
Ministro Gelmini, le senatrici del Pd Albertina Soliani e Leana Pignedoli
che criticano fermamente "il carattere intimidatorio e lo spirito
antidemocratico della circolare, che ha sollevato critiche e polemiche da
parte del personale scolastico e delle diverse organizzazioni sindacali con
la richiesta del ritiro della nota e di dimissioni dello stesso direttore
regionale". Le parlamentari democratiche fanno sapere che "sulla vicenda è
intervenuto anche il Ministro Gelmini con una dichiarazione alla stampa
nella quale non solo il titolare dell'Istruzione condivide pienamente
l'operato del direttore generale ma precisa anche che chi desidera fare
politica può candidarsi alle elezioni e non deve strumentalizzare le
istituzioni'. "Ora, - ne sono convinte le interroganti - l'iniziativa
adottata dal direttore regionale costituisce una gravissima lesione dei
diritti costituzionalmente garantiti (articoli 3, 21 e 33: il diritto di
eguaglianza fra tutti i cittadini, la libertà di manifestazione del
pensiero e la libertà di insegnamento) e il tentativo di reprimere le
legittime proteste del mondo della scuola non può essere tollerato in
nessun paese democratico. Vi è, oltretutto, una palese violazione
dell'articolo 117 che fa salva, rispetto ai poteri dello Stato e delle
Regioni, l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Per tali ragioni
Soliani e Pignedoli chiedono al Ministro in indirizzo "se ritenga che il
diritto a manifestare il proprio pensiero non sia un diritto inviolabile
dell'individuo e un valore fondamentale di ogni ordinamento democratico",
"se, per la gravità dei richiami contenuti nella circolare, non sia
necessario procedere con la massima urgenza alla rimozione del dottor
Limina dall’Ufficio di Direttore Scolastico Regionale per
l’Emilia-Romagna"; infine, "quali iniziative intenda adottare affinché
nella scuola italiana venga garantito il rispetto dei principi e dei valori
costituzionali".

Roma, 25 maggio 2010

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Come cambiano le notizie
di Marco Girella



E’ ancora possibile adattare le notizie a un supporto antico come la carta? E’ ancora possibile venderle dentro un contenitore del genere? E, soprattutto, le notizie così come le abbiamo conosciute, lette e consumate finora, hanno un futuro oppure sono destinate a cambiare natura per sempre, in un vortice di bit e di canali digitali? Non c’è dubbio che, nell’epoca del blog e dei social network, la carta stampata sia precipitata dentro la crisi più dura della sua storia. Quasi due decenni di internet e di web hanno attaccato le fondamenta sulle quali poggiavano la costruzione e la vendita dei quotidiani di carta.
Dal punto di vista di chi si occupa di scuola e di formazione, questo è il problema più interessante. Perché se il web ha modificato sostanzialmente il modo di produrre le notizie e quindi la natura delle notizie stesse, vuol dire che ha influenzato anche il nostro modo di leggerle e capirle. Quindi ha cambiato e sta cambiando il nostro modo di leggere in generale. Ha modificato e sta modificando il nostro modo di studiare e il nostro modo di apprendere. In poche parole, bisogna cercare di capire come, e se, il web abbia trasformato il nostro rapporto con le parole di carta in un’altra cosa, ed eventualmente in quale.
Un buon punto di partenza può venire dal confronto tra la prima pagina di un quotidiano e la corrispondente homepage dello stesso quotidiano, nello stesso giorno, sul web.
Se si confronta la prima pagina del Corriere della Sera di sabato 29 maggio 2010 con la homepage del giornale nello stesso giorno, alle 18 e 30, si notano subito le differenze sostanziali tra le due impostazioni.
La prima pagina del Corriere di carta è dominata da un titolo di richiamo sulla legge che riguarda le intercettazioni telefoniche. Nel primo taglio, invece, troviamo un titolo sulla legge finanziaria che suona così: Il premier sui dubbi di Confindustria: “Non avete letto bene la manovra”. Questa notizia non apre il giornale ma è rafforzata dall’editoriale a fianco, quello che una volta si chiamava articolo di fondo, a firma di Angelo Panebianco, intitolato: “I costi politici dei tagli”. Quindi, la finanziaria è senz’altro considerata, dalla redazione del Corriere, come la notizia più importante della giornata.
Vediamo cosa succede sul web. Alle 18 e 30 la notizia è aggiornata in: Manovra, esame al Quirinale. Berlusconi: “L’ho firmata”. Siamo già ben oltre quello che dice la carta, e in mezzo al racconto del conflitto tra Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica di cui, sull’edizione di carta, si trova un resoconto a pagina 8.
Come interessante sviluppo, che rimanda al carattere enciclopedico della rete, troviamo sulla homepage il link, cioè un collegamento ipertestuale, all’ultima versione della manovra finanziaria correttiva. Un testo che permette a chiunque di constatare da solo i contenuti dell’operazione del governo sull’economia, ammesso che abbia il tempo e le capacità tecniche per leggerla. Un’operazione che non si può riproporre sull’edizione di carta, visto che occupa 156 pagine di un documento pdf. Siamo già davanti a una prima importante separazione tra carta e web: sulla rete si possono pubblicare testi smisurati, impensabili da proporre sulla carta. Eppure, questo carattere enciclopedico del web si scontra con un'altra evidente caratteristica del giornale elettronico: i testi di quasi tutti gli articoli pubblicati on line sono molto più brevi dei loro corrispettivi sulla carta.
Il primo confronto tra carta e web, comunque, ci dà alcuni elementi da tenere in considerazione e cioè: il web impone modifiche continue. Le notizie si trasformano incessantemente e dopo poche ore non corrispondono più a quelle che, sulla carta le avevano originate. Per le redazioni, cambia anche la linea temporale entro la quale si fissa definitivamente il contenuto degli articoli. Mentre per la carta bisogna darsi un limite di pubblicazione (diciamo mezzanotte, per convenzione) sul web la cosiddetta dead line cambia continuamente. Più semplicemente, sul web, a differenza che sulla carta, poche notizie hanno un carattere definitivo.
In pratica, in rete le notizie durano meno, pur permettendo, a chi volesse intraprendere il percorso, approfondimenti tecnici molto maggiori. Forse questa minor durata influisce già sul nostro concetto di storia e di memoria, forse lo ha già cambiato radicalmente ma è un tema da girare a chi si occupa di scienze cognitive e neuroscienze.
La seconda cosa che salta agli occhi confrontando la prima pagina del Corriere di carta con la corrispondente homepage è che in rete le notizie messe in vetrina sono molte di più e prevedono molte più immagini. Per esempio, la quarta notizia sulla homepage, in ordine di importanza, parla di mucche torturate in una fattoria dell’Ohio. Il motivo per cui si trova così in alto nella gerarchia generale è la presenza di un video dove si vedono le sevizie ai danni degli animali. Qui il lettore-spettatore può scegliere se leggere il testo di accompagnamento e poi guardare il video, oppure andare direttamente alla fonte e ignorare la parte scritta. Diciamo che questa possibilità rappresenta l’ulteriore evoluzione di un procedimento già radicato anche nella carta stampata. Da anni, infatti, i giornali usano grafici, sequenze di foto e testi schematizzati, proposti in alternativa alla lettura di un articolo intero. E’ il prezzo che la carta stampata paga all’instaurarsi sempre più pervasivo della cultura dell’immagine. E’ interessante notare come, anche sul web, lo schema titolo-testo scritto-immagine resta dominante quando si tratta di fornire notizie. Cambia però il peso dei rispettivi elementi, spostandosi in favore dell’ultimo.
Un’altra divisione fondamentale tra carta e web viene dalla presenza dei link, i collegamenti ipertestuali. I testi e le immagini sul web sono tanto più ricchi quanto più rimandano ad altri testi e altre immagini, mentre il valore di un articolo stampato si misura con la capacità di tenere il pubblico ancorato alla lettura. Da un pezzo ben scritto sulla carta ci si aspetta che convinca il lettore a restarci dentro. Da un pezzo ben organizzato sul web ci si aspetta che aiuti il lettore ad uscirne fuori, proprio per approfondire di più il medesimo argomento attraverso i link appropriati.
Ultima nota, in questo breve percorso a cavallo tra carta stampata e notizia elettronica, riguarda il pubblico.
Nei giornali di carta è la redazione a stabilire la gerarchia delle notizie e a metterle in relazione a un pubblico indistinto, per quanto affezionato alla formula della testata. Sul web, invece, i gusti dei lettori vengono tracciati in tempo reale.
Sulla homepage del Corriere troviamo il link intitolato “Più letti”. Contiene la classifica delle dieci notizie più cliccate sul sito del giornale e in molti casi sovverte le scelte che la redazione ha fatto per l’edizione di carta.
Sabato 29 maggio la notizia più letta risulta essere “Addio Arnold, morto per un incidente” sulla scomparsa dell’attore Gary Coleman, noto per aver portato al successo una serie televisiva a cavallo degli anni Settanta e Ottanta. La stessa notizia, sull’edizione di carta non è nemmeno richiamata in prima pagina e si trova in apertura di pagina 62.
Il secondo articolo più letto è un commento di Aldo Grasso ad una trasmissione televisiva condotta sulla Rai dalla giornalista Monica Setta. Il terzo è ancora un commento, firmato da Pierluigi Battista, che critica la campagna delle Coop contro la presenza di prodotti israeliani sugli scaffali dei supermercati. Al quarto posto, l’unica notizia con caratteri di attualità e cioè la firma della manovra da parte di Berlusconi, e al quinto ritroviamo il commento di Angelo Panebianco sui costi politici dei tagli. Al settimo e ottavo posto notizie di sport e politica internazionale, con dichiarazioni dirette dei protagonisti, nell’ordine Michel Platini, Barack Obama. Al decimo lo scandalo che investe un rappresentante del governo inglese per aver fatto rimborsare l’amante presso il quale si era accasato. Al nono torna Gary Coleman, con un vecchio articolo sul suo matrimonio, risalente al 2008. Quello che possiamo notare al primo sguardo è che la priorità degli articoli, sul web, viene stabilita dal numero di contatti e non dalle scelte della redazione. Peraltro, escluso forse Panebianco, tutti gli autori e i protagonisti degli articoli vantano un’esposizione televisiva molto alta.
Verrebbe da pensare che, in attesa di irrobustire suoi spazi specifici, il web selezioni le notizie attingendo principalmente dal suo concorrente più forte, la televisione. Ma, legato a questo, c’è un altro aspetto da sottolineare, che distingue la stampa italiana, cartacea ed elettronica, da quella del resto del mondo occidentale. In nessun paese come in Italia esiste una commistione, sui quotidiani, tra alto e basso, tra politica, economia, sport e gossip, senza una particolare distinzione tra i vari piani di comunicazione. In nessun paese come l’Italia i quotidiani, cosiddetti seri, si propongono come un frullato di notizie eterogenee, dove trovano ampio spazio articoli che in altre parti del mondo sono riservati alla stampa scandalistica e non certo ai quotidiani a matrice politico-economica. E questa commistione, che qualcuno negli anni Novanta ribattezzò mielismo, dal cognome del direttore del Corriere, Paolo Mieli, che più di altri utilizzò questo schema di confezione del giornale, produce un altro effetto particolare.
I quotidiani italiani, sul web, sembrano schiavi delle notizie più cliccate. E se è giustissimo tenere conto dei gusti del proprio pubblico, è anche vero che la stampa anglosassone studia molto più della nostra come indirizzare i gusti dei lettori, piuttosto che subirli passivamente. Nei giornali on line americani e inglesi si studiano le curve di attenzione, il modo in cui gli articoli devono essere scritti, come inserire tag e link, come sfruttare i Seo, cioè la search engine organization, che serve a far scalare posizioni al giornale e ai suoi contenuti all’interno dei motori di ricerca. In altre parole, il giornalismo occidentale, pur attentissimo ai gusti del pubblico, studia attentamente come portare lettori verso i propri contenuti, laddove il giornalismo italiano sembra molto più preoccupato di portare i contenuti verso i lettori, dando loro quello che mostrano di preferire.
In più, succede che i contenuti privilegiati dai lettori, vista la possibilità del web di favorire la partecipazione attraverso i commenti del pubblico, soffrono di un’altra importante distorsione. E cioè che guadagnano più successo le notizie che si prestano a (brevi) interventi scritti dei lettori. Cioè le notizie a minor contenuto specialistico o tecnico ma anche a minor valore aggiunto. Ne viene fuori una contraddizione molto sgradita a editori e giornalisti: cioè che assecondare i gusti del pubblico provoca una perdita di credibilità o di appetibilità del giornalismo, con la conseguenza che diventa più difficile farsi pagare i contenuti editoriali, sotto qualsiasi forma, cartacea o elettronica, vengano proposti.
Tuttavia la divaricazione tra carta e web è appena agli inizi, e non è possibile dire adesso dove ci porterà. Di certo ha cambiato il nostro modo di leggere, di assimilare e comprendere le notizie. Ha reso possibile una maggior partecipazione del pubblico, e desacralizzato il ruolo dei giornalisti. Ha favorito lo scambio e il dialogo tra un’emittente (il giornale) e un ricevente (i lettori) che prima del web faticavano a entrare in contatto. Ha modificato la priorità delle notizie e la loro collocazione gerarchica nel sistema giornale. Ha cambiato la natura stessa delle notizie, ma adesso è in cerca del modo più giusto di scriverle e proporle senza perdere in accuratezza e credibilità.

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Studenti? Sì, ma non per forza giovani.
Prospettive internazionali del Lifelong Learning alla luce della conferenza CONFINTEA VI di Belem
Di Mattia Baglieri



È almeno dalla Conferenza di Jomtien (Tailandia) del 1990 che la comunità
internazionale si è resa conto della necessità di considerare il lifelong learning una prospettiva necessaria per gli Stati.
Il Lifelong Learning è la politica internazionale che raggruppa l’educazione formale, il Non-formal learning e l’apprendimento informale e che ne coordina il riconoscimento. Sono numerose le agenzie internazionali impegnate nello sviluppo e nel radicamento di questa prospettiva: dall’Unesco (per mezzo del suo Institute for Lifelong Learning di Amburgo), al direttorato dell’Educazione dell’OCSE di Parigi, alla Banca Mondiale, all’International Labour Organization di Ginevra. In ambito europeo, la Commissione ha demandato il compito di coordinare le politiche relative all’educazione permanente al CEDEFOP di Tessalonicco (1).
Il Lifelong Learning è stato confermato uno strumento all’avanguardia dalla stessa Conferenza ICE 2008 di Ginevra, gli ultimi stati generali dell’educazione sotto l’egida dell’Unesco (2).
In Italia sembra ormai una prospettiva largamente raggiunta, quella di assicurare un apprendimento di base universale, ma in molti paesi del mondo naturalmente le politiche educative risentono di gravi carenze relative anche all’educazione di base e nei paesi di recente indipendenza sovente la lotta di liberazione nazionale non ha consentito il riconoscimento del sapere non accumulato per vie formali (si parla a questo proposito di RPL, cioè „recognition of prior learning“), ma relativo all’apprendimento esperenziale (per esempio sul lavoro) o all’educazione non formale (per esempio ai programmi teorici e pratici di molti centri giovanili nel sud del mondo) (3).
In particolare l’educazione non formale si presenta quale metodo di apprendimento che si allontana da un approccio eminentemente top-down, al fine di raggiungere una modalità maggiormente partecipativa e che tenga in primo piano le istanze non soltanto del docente, ma anche del discente (4). Sovente i programmi di educazione non formale si basano su delle evaluations compilate dai medesimi studenti che prendono parte al processo di apprendimento. In particolare le valutazioni delle modalità educative si suddividono in i) aspettative di inizio percorso (seguendo il modello expectations and fears – tr. „aspettative e paure“ all’inizio del percorso formativo); ii) valutazioni di mid-term; e iii) valutazioni alla fine del percorso di apprendimento.
L’apprendimento in modalità non formale è riconosciuto dalle agenzie e dalle organizzazioni internazionali, ma non può prescindere dal supporto e dalla mise en oevre da parte delle Organizzazioni Non Governative, le quali implementano programmi sia nei paesi occidentali sia nei developing countries.
L’organizzazione-egida di tutte le ONG che si occupano di processi di apprendimento non formale si trova a Parigi, all’interno dei quartieri generali dell’Unesco e si chiama CCIVS (Co-ordinating Committee of the International Voluntary Service). Il CCIVS, che ha compiuto sessant’anni nel 2009, ha confermato nei suoi ultimi report che l’idea sottesa all’apprendimento non formale non muta dai paesi più ricchi a quelli in via di sviluppo, mentre a variare sono gli strumenti di cui il personale può disporre (naturalmente in un paese avanzato le risorse messe in campo saranno presumibilmente molto superiori rispetto a quelle di cui può disporre un paese in via di sviluppo, talora uscito da lunghi anni di guerra o guerra civile e in cui l’educazione non formale è spesso il solo programma educativo/pedagogico messo in campo) (5).
Oltre all’educazione non formale ed all’apprendimento informale, anche l’educazione degli adulti è parte del framework generale delineato dalle policies del Lifelong Learning. In particolare, le politiche educative per gli adulti sono state recentemente oggetto della VI Conferenza sull’educazione degli adulti dal titolo „Living and learning for a viable future: the power of adult learning“ (Vivere e imparare per un futuro praticabile: il potere dell’educazione degli adulti), tenutasi a Belém do Parà in Brasile dall’1 al 4 dicembre 2009 ed aperta sotto gli auspici del Direttore Generale dell’Unesco Irina Bokowa.
Alla Conferenza hanno partecipato 1.125 partecipanti da 144 paesi diversi. Per l’Italia è stato presente solo un professore universitario, mentre non si sono registrate presenze da parte del Governo o del Ministero della Pubblica Istruzione (6).
La CONFINTEA VI riconosce nel suo rendiconto finale che l’alfabetismo è „la base per il riconomscimento dell’importanza dell’educazione degli adulti e dell‘educazione permanente“ (7).
Ma, ancora, è la stessa conferenza a definire l’importanza dell’educazione permanente, laddove essa sancisce che „il ruolo del lifelong learning è critico in relazione all’educazione globale ed alle sfide delle tematiche educative. Il lifelong learning dalla culla alla tomba è una filosofia, un quadro concettuale e un principio di organizzazione per tutte le forme di apprendimento, basato sulla partecipazione, sull’emancipazione, su valori umanistici e democratici; è un tema che concerne ed è integrato alla necessità di una società basata sulla conoscenza. Noi riaffermiamo i quattro pilastri dell’educazione, così come nelle raccomandazioni della Commissione Internazionale sull’educazione per il Ventunesimo secolo, vale a dire imparare a conoscere, imparare a fare, imparare ad essere ed imparare a vivere insieme“ (8).
I partecipanti alla Conferenza internazionale si sono impegnati ad fare pressione sui singoli governi nazionali affichè essi dedichino alle policies educative „almeno il 6% del Prodotto Interno Lordo“ (9). (Rammento come gli ultimi dati Eurostat sulle politiche educative sottolineano come l’Italia spenda solo il 4,4% del PIL, fanalino di coda in Europa in quanto la penisola è solo al ventunesimo posto tra i ventisette dell’Unione).
La conferenza non ha potuto negare che molta strada sia ancora da fare riguardo all’implementazione dei programmi educativi di lifelong learning e di adult education, soprattutto nei paesi in via di sviluppo in cui è carente il personale qualificato e sono assolutamente insufficienti le infrastrutture e gli strumenti da utilizzare (10) (peraltro lo stesso dipartimento educativo dell’OCSE ha sottolineato come anche nei paesi più avanzati sovente vi siano delle rigidità economiche o delle malversazioni nella distribuzione di fondi, per esempio talora i fondi per le politiche educative rimangono bloccati a livello dei dipartimenti centrali e faticano a raggiungere le località periferiche in cui più comuni sono le problematiche cui l’educazione stessa deve contribuire a far fronte).
Alcuni esperti hanno anche confermato come sia difficile fidarsi del „benchmarking“ (vale a dire il riconoscimento, o „recognition“ in inglese) delle pratiche educative effettivamente messe in campo dai singoli Stati, in quanto in tutti i documenti che gli Stati somministrano alle agenzie internazionali spesso essi sono ottimisti riguardo alle policies attuate e tendono ad evitare di presentare feedback negativi: gli Stati vogliono, in parole povere, „fare bella figura“, laddove semmai i sentori di chi ha partecipato a questi progetti sono diversi. Ci si sta domandando come determinare un equilibrio proficuo tra gli Stati che implementano le politiche e coloro che vi prendono parte. L’OCSE sta mettendo in atto da decenni il progetto educativo PISA, basato sulle performances effettive degli studenti (siamo a muoverci nell’ambito dello „schooling“ formale), ma anche in tal caso la criticità primaria riguarda la possibilità di comparazione dei risultati stante la differenza (differenza culturale!) dei programmi educativi nei diversi paesi e la grande difficoltà – ad esempio – di comparare le performance in campo umanistico-letterario.
Paul Bélanger dell’International Council for Adult Education ha sostenuto l’importanza di passare dalle parole ai fatti, „dalla retorica all’azione“ (11), in una nota solo apparentemente polemica ma che ha saputo sottolineare l’importanza per il progresso umano di „un pianeta che apprende“ (12).
Anche lo stesso Education for All – Global Monitoring Report, in fin dei conti, finisce con l’esprimere inevitabilmente perplessità riguardo alla possibilità di assicurare a tutte le persone del mondo un’educazione di base entro il 2015 (così era nelle intenzioni dei conferenzieri di Jomtien!) e già il suo titolo – nonostante anche i tanti impegni della comunità internazionale – finisce per suonare retorico: „Education for All by 2015, Will we make it?“ (13).
CONFINTEA VI non ha mancato di mostrare i risultati positivi delle politiche educative internazionali: per esempio dall’ultima conferenza sull’educazione degli adulti del 1997 (Hamburg), la retta che monitora l’educazione degli adulti ha segnato un solido trend positivo, passando dal 76 all‘84% e con una netto saldo positivo nei developing countries. Ancora l’educazione degli adulti ha avuto un impatto positivo sulla democrazia e sui diritti umani, favorendo la parità tra uomini e donne e coadiuvando le politiche relative al controllo ed alla prevenzione dell’HIV (14).
Ma la domanda dell’EFA Global Monitor Report, quel „ce la faremo?“, finisce – anche con tutte le buone intenzioni di un pensiero idealista e liberale – per mantenersi domanda retorica in attesa di una risposta ormai quasi certamente negativa.



Note:

(1) Per una definizione accurata delle differenze tra formal, non-formal ed informal learning, nonchè sul motivo per cui sia preferibile parlare di „apprendimento“ (learning) piuttosto che di „educazione“ (education) rimando al sito del Dipartimento Education dell’OCSE di Parigi: http://www.oecd.org/document/25/0,3343,en_2649_39263238_37136921_1_1_1_37455,00.html.

(2) Cfr. UNESCO (2008b).

(3) Cfr. I due contributi di Alan Rogers.

(4) Ibi.

(5) CCIVS (2008).

(6) UNESCO (2009, 98).

(7) Belém Framework for Action, in UNESCO (2009, 37).

(8) Ibi, pp. 37.38.

(9) Ibi, p. 39.

(10) Cfr. Statement of Evidence, in ibi, pp. 44-45.

(11) Bélanger Paul, From rethoric to action, in ibi, pp. 79-83.

(12) „The planet will only survive if it becomes a learning planet“ (Il pianeta sopravviverà soltanto se diventerá un pianeta che apprende), in ibi, p. 83.

(13) Cfr. UNESCO 2008c.

(14) Cfr. Statement of Evidence, in ibi, pp. 43-44.


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